GIOIELLI DEVOZIONALI E IDENTITÀ RELIGIOSA. IL CASO DEI MONILI CON LA VERGINE DI LORETO
DEVOTIONAL OBJECTS AND RELIGIOUS IDENTITY. THE CASE OF OUR LADY OF LORETO JEWELRY
Serena Franzon1
Fechas de recepción y aceptación: 22 de febrero de 2024 y 5 de mayo de 2024
DOI: https://doi.org/10.46583/specula_2024.10.1147
Riassunto: Il presente contributo indaga i gioielli con iconografie di stampo devozionale all’interno del contesto tardo medievale e rinascimentale italiano (XV e XVI secolo). Nell’ambito della cultura materiale del periodo in oggetto, i monili con rappresentazioni a carattere religioso si connotarono come oggetti funzionali sia alle esperienze devozionali compiute dai fedeli, quali i pellegrinaggi e la preghiera domestica, sia alla comunicazione di tali esperienze all’interno della cerchia sociale. In particolare, il contributo si concentra sui monili legati a un’importante meta di pellegrinaggio: il santuario della Santa Casa di Loreto, discutendo come le immagini riferite a questo specifico santuario presentino dei caratteri iconografici caratteristici e ben identificabili. Partendo da queste considerazioni, l’articolo discute un piccolo nucleo di tre gioielli, finora attribuiti dubitativamente all’area spagnola, e ne propone una produzione legata al famoso santuario della Santa Casa di Loreto. Lo studio stilistico e quello tipologico sono affiancati all’analisi degli aspetti iconografici in relazione ad altre opere d’arte, con particolare attenzione alla rappresentazione della statua della Vergine col Bambino posta nel santuario lauretano, e a quella della traslazione della Santa Casa.
Parole chiave: gioielli tardo medievali, gioielli devozionali, gioielli rinascimentali, cultura materiale cristiana, Loreto, souvenir di pellegrinaggio.
Abstract: This essay investigates devotional iconographies in Italian pieces of jewelry within the late Middle Ages and Renaissance (15th and 16th centuries). During this period, devotional jewelry was intended to serve devotional practices such as pilgrimages and domestic prayer but was also used to convey information on the personal religious experience of its owner within his social context. In particular, the essay shall focus on small pendants related to the important Christian shrine of the Holy House of Loreto. Iconographic themes linked to this shrine are easily recognizable from particular iconographic features. Starting from these assumptions, the article discusses a small group of three objects, previously assigned, though with some doubts, to a Spanish workshop. A context of production linked to the famous shrine of the Santa Casa of Loreto will be proposed and discussed. Stylistic and typological investigations shall be discussed together with iconographic features, in comparison with other objects of art. Particular attention will be given to depictions of the statue of the Virgin and Child placed inside the church, and depictions of the miracle of the translation of the Holy House.
Keywords: Late mediaeval jewelry, devotional jewelry, renaissance jewelry, Christian material culture, Loreto, pilgrim badges.
1. MONILI E PELLEGRINAGGI
Rispetto ad altri accessori di dimensioni maggiori, i gioielli sono elementi in grado di attirare lo sguardo: per la propria forma, per la lucentezza, per il colore e la raffinatezza d’esecuzione. Si tratta dunque di oggetti che nella grande maggioranza dei casi sono in grado di farsi notare, emergendo visivamente rispetto alle vesti. Non a caso i monili sono stati definiti come “tatuaggi mobili”, proprio in virtù della loro collocazione e visibilità in relazione al corpo umano( Rigon, 2010, p. 71). Come i segni permanenti sulla pelle, i gioielli sono in grado di fornire informazioni sul senso estetico della persona, e in questo senso la decorano, ma sono anche in grado di parlare dell’identità personale di chi li possiede2. Inoltre, al pari dei tatuaggi, i monili possono essere celati o esibiti, portando con sé significati talora facilmente comprensibili, e talaltra intellegibili da poche persone. Non a caso il gioiello, nell’ambito degli studi di stampo sociologico e psicologico, è stato indagato in quanto oggetto che viene usato per raccogliere in sé diversi valori, idee e simboli legati all’identità della persona, che vengono comunicati visivamente all’interno del suo contesto sociale3.
Nell’ambito della cultura materiale religiosa del tardo Medioevo e del Rinascimento, i gioielli con iconografie religiose si connotarono fortemente come oggetti funzionali alla comunicazione delle esperienze devozionali compiute dai fedeli, nonché dell’identità religiosa degli stessi4. Questo concetto è particolarmente evidente nel caso di tutte quelle placchette, medagliette e altri piccoli elementi indossabili che, come accade ancora oggi, venivano acquistati presso i santuari da parte dei pellegrini in visita. La struttura di questi souvenir di pellegrinaggio dimostra come essi fossero pensati per essere mostrati. Essi, infatti, recano in genere caratteristiche quali occhielli per cucirli sul cappello o sulle vesti, spilloni per appuntarli o anelli di sospensione per indossarli come pendenti: si tratta di caratteristiche costitutive presenti nella quasi totalità dei pezzi conservatisi5. Esibire oggetti di questo tipo non doveva significare solamente mostrare la propria appartenenza religiosa, ma anche rendere evidente il proprio status di viaggiatore per cause legate alla religione, in modo da facilitare l’accesso all’accoglienza di cui necessitavano i pellegrini6.
In più questi oggetti tornavano utili dopo la conclusione del viaggio, e venivano utilizzati nel contesto della devozione domestica per ricordare e rivivere il pellegrinaggio, stimolando la meditazione tramite i ricordi7. Tutte queste considerazioni suggeriscono che l’oggetto acquistato come souvenir dovesse essere riconoscibile al primo sguardo per identificare chiaramente il luogo visitato dal pellegrino, e per non creare confusione tra i diversi santuari. Nonostante le mete di pellegrinaggio fossero moltissime, le immagini riferite a uno specifico luogo sacro dovevano perciò essere ben distinguibili. Questo assunto è suggerito dal fatto che tali placchette metalliche fossero indossate dal pellegrino sulle vesti proprio per attestare il suo passaggio presso tali luoghi di interesse religioso. Agli occhi dei passanti che il viaggiatore per fede incontrava nel suo cammino, i souvenir dovevano essere identificabili: si poteva così capire quanto lungo fosse il suo percorso e offrire il proprio supporto in termini di ospitalità e di aiuto, senza il rischio di incorrere in truffatori. Per il pellegrino stesso gli oggetti erano ancora più importanti, perché servivano a fargli conservare il ricordo del viaggio, e nutrire con esso la sua vita spirituale8. Alcune ricerche sono state svolte proprio partendo da questa considerazione, con lo scopo di ricondurre placchette e medaglie devozionali – sia reali che rappresentate nei libri e nei dipinti - a precisi santuari, documentando gli itinerari dei pellegrini e le mete religiose più in voga9.
Rifacendosi ai principi metodologici propri dello studio di medagliette e altri souvenir, è possibile talora identificare anche nei gioielli il riferimento a uno specifico santuario10. Un esempio è dato dai gioielli cinquecenteschi e seicenteschi riconducibili al santuario spagnolo della Virgen del Pilar, a Saragozza. Si tratta di monili preziosi, di cui la maggior parte è caratterizzata da oro e smalti, che furono alienati dal clero nel 1870 per finanziare un parziale rinnovo edilizio del santuario spagnolo. Acquistati massivamente dal nascente Victoria and Albert Museum, questi oggetti hanno permesso agli storici del gioiello di ricavare moltissime informazioni sull’oreficeria rinascimentale spagnola (Oman, 1967, pp. 400-406). Questo nucleo di gioielli attesta anche che i monili ex voto, che erano quindi stati donati al santuario come offerte votive, recavano nella stragrande maggioranza dei casi la figura venerata all’interno di quel luogo. Quasi tutti i pezzi rappresentano infatti la statua della Vergine sulla sommità di una colonna, il pilar, appunto. Questo uso legato alle offerte votive sembra ripetersi anche nei luoghi di pellegrinaggio italiani, come confermano alcuni gioielli siciliani11.
Il presente articolo vuole quindi partire da queste considerazioni per fornire più informazioni su un piccolo nucleo di tre gioielli, finora attribuiti dubitativamente all’area spagnola, e ricondurli a una produzione legata al famoso santuario della Santa Casa di Loreto.
2. IL SANTUARIO DI LORETO
Situato nella regione delle Marche, il santuario della Santa Casa di Loreto fu edificato tra il 1469 e il 1587 con l’apporto di artisti di grande rilievo quali Giuliano da Maiano, Donato Bramante e Giuliano da Sangallo. Il nome della chiesa è legato alla sua principale reliquia, ovvero la casa dove visse la Vergine Maria a Nazareth, che, per devota tradizione, si ritiene essere stata trasportata miracolosamente dagli angeli fino al territorio marchigiano. Il miracolo è usualmente indicato con il termine di traslazione, e viene fatto risalire alla fine del XIII secolo12. La devozione per la reliquia mariana si impose da subito in Europa, ma subì un grandissimo impulso tra la seconda parte del XV secolo e per tutto quello successivo, in corrispondenza della costruzione dell’edificio atto a contenerla e celebrarla. Specie nel Cinquecento, periodo di inquietudini religiose dovute al diffondersi delle idee protestanti, l’iconografia della traslazione della Santa Casa si diffuse in tutta Italia, a rimarcare il forte carattere mariano insito nel cattolicesimo13. Assieme a pitture e incisioni rappresentanti il fatto miracoloso, anche la raffigurazione della statua della Vergine con il Bambino conservata presso il santuario lauretano è diventata piuttosto comune nell’arte religiosa italiana a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Si tratta di una statua con caratteristiche tali da farla rientrare nel fenomeno diffuso e ben studiato delle statue vestite venerate all’interno delle chiese14. Va qui premesso che le statue in oggetto non venivano addobbate sempre con le stesse vesti, e perciò l’aspetto poteva cambiare all’interno delle loro rappresentazioni. Nonostante questo, l’iconografia della Madonna di Loreto conosce una certa fissità e riconoscibilità nelle sue raffigurazioni, che verranno discusse nel corso dell’articolo. Al giorno d’oggi la statua è sempre rappresentata con la pelle scura, ma si tratta di un effetto che essa ottenne nel tempo, per via dei fumi delle candele e della polvere accumulatasi negli anni, come è accaduto anche ad altre statue dedicate alla figura mariana, che per la grande devozione dei fedeli furono più esposte di altre ai ceri votivi15. Deve essere infine ricordato che inizialmente l’immagine venerata a Loreto non era una statua, ma un dipinto su tavola di legno. Solo dalla metà del Cinquecento l’immagine fu sostituita da una statua lignea, che, dopo essere stata distrutta dall’incendio che coinvolse la basilica nel 1921, fu fatta scolpire nuovamente per volere di Papa Pio XI. Diversi luoghi di culto riportano la riproduzione di quest’opera all’interno di cappelle dedicate alla Vergine di Loreto, ed esistono santuari in ogni regione d’Italia che furono intestati alla Madonna lauretana in tempi più o meno recenti16.
3. DUE PENDENTI QUATTROCENTESCHI CON LA TRASLAZIONE DELLA SANTA CASA
Verranno ora discussi quattro piccoli pendenti esposti al Museo Poldi Pezzoli, di cui due si distinguono per un’iconografia riconducibile al santuario lauretano. I quattro monili verranno prima presentati nel complesso, poiché sono esposti come un oggetto unico, essendo legati a un anello metallico sul quale scorrono gli occhielli di sospensione presenti in ognuno di essi. Registrati sotto un numero di inventario unico, i pezzi sono presenti nel catalogo delle oreficerie del museo Poldi Pezzoli del 1981, che li descrive come porta reliquie spagnoli del XV secolo. Pur non essendoci un riferimento esplicito, la bibliografia sui pezzi lascia supporre che forse fossero già uniti al momento dell’ingresso nella raccolta di Gian Giacomo Poldi Pezzoli17. Si tratta del resto di quattro oggetti molto simili nello stile e di dimensioni molto vicine tra loro (i diametri dei pezzi variano tra i 2,4 e i 2,7 millimetri). Tutti e quattro recano le caratteristiche che permettono agli studiosi di identificare una tipologia di gioiello molto in voga tra XV e XVI secolo, ovvero le teche per Agnus Dei: contenitori pensati per proteggere i frammenti dei medaglioni in cera che venivano ricavati dalla candela pasquale in Vaticano. Dopo essere stati benedetti dal papa, questi medaglioni venivano smembrati in piccole porzioni, che erano davvero richiestissime nel corso del Medioevo e dell’Età Moderna.
Questo non solo per devozione e rispetto verso il papa, ma soprattutto perché era comune credenza ritenere che gli Agnus Dei fossero imbevuti di poteri divini; persone di ogni ceto ed estrazione sociale li indossavano, infatti, per proteggersi dall’epilessia e da altre malattie (Franzon, 2017, p. 44).
La decorazione effettuata con la tecnica del niello è davvero tipica per questi monili e, nelle teche per Agnus Dei del XV secolo è sempre accompagnata da un occhiello di sospensione con base a motivi vegetali e da bordi lavorati con cordonature e trecce18. Tali tratti formali ricorrenti rispecchiano anche una certa uniformità nelle iconografie, che fa pensare a una produzione a carattere seriale sparsa in diversi centri di produzione italiani19. I temi figurativi tipici per questi gioielli si ritrovano tutti anche nelle quattro teche del Poldi Pezzoli: il trigramma IHS che abbrevia il nome di Gesù, l’agnello con croce e stendardo, la decorazione fitomorfa quadripetala. Su una teca si vede anche il nodo di Salomone, più raro ma attestato anche in un’altra teca per Agnus Dei.20
Come si accennava poco sopra, due di questi oggetti presentano però su un verso un’iconografia particolare, che qui verrà discussa nel dettaglio (figg. 1-2).
In uno la decorazione a niello compone da un lato il consueto agnello mistico, ma dall’altro una Vergine con il Bambino sopra a un edificio sorretto da un angelo (fig. 1).
Il secondo pezzo riporta anch’esso una figurazione comune su uno dei lati, un trigramma IHS, e nell’altro una Madonna, il Bambino e una struttura ecclesiastica sorretta da un angelo (fig. 2).
L’iconografia è la stessa presente nelle immagini che raffigurano la traslazione della santa casa di Nazareth fino alla località di Loreto. Un particolare avvalora questa ipotesi: l’edificio mostrato sui piccoli monili viene rappresentato come una sorta di chiesa stilizzata, munita di campanile, sul quale la Vergine sembra quasi poggiare la schiena. Ed è esattamente come un piccolo edificio con campanile che la santa casa viene rappresentata nell’iconografia quattrocentesca della sua traslazione, dove appare sorretta da uno o più angeli che la portarono sino a Loreto. Un esempio molto eloquente di questo tema iconografico è il dipinto di Saturnino Gatti ora al Metropolitan Museum (fig. 3)21.
Come si vede bene in tale dipinto, e come accade anche in altre rappresentazioni pittoriche della traslazione, c’è un particolare significativo: l’angelo centrale non ha le stesse fattezze dei due laterali, ma è composto da una testina di putto con due ali, del tutto analoga a quella visibile nei monili qui analizzati22.
In ogni dipinto analizzato si ritrova anche la postura della figura della Vergine con il Bambino: sempre mostrata superiormente alla casa, così come nei gioielli in analisi, come già rilevato da precedenti studi23.
Tra le svariate teche per Agnus Dei di XV secolo qui studiate, solo questi due pezzi del Poldi Pezzoli recano questo tipo di iconografia24. Tuttavia, come si diceva, la raffigurazione di tematiche riconducibili a mete di pellegrinaggio non è una cosa che deve stupire nei monili realizzati in questo frangente. Tante erano infatti le placchette in peltro, in oro o in argento - quando non gioielli con gemme e smalti preziosi - che venivano confezionate con la finalità di fungere da memoria tangibile di un santuario25. In Italia la vendita di tali monili è documentata soprattutto a Roma, una delle mete più importanti per i pellegrini di tutta la cristianità. Esempi da altri santuari, tra cui proprio quello lauretano, si sono talvolta conservati fisicamente, ma sono anche riscontrabili tramite documenti come gli inventari26. Non deve inoltre stupire che monili quattrocenteschi mostrino la Santa Casa e non la statua della Vergine, perché, come si diceva, la famosa statua lauretana fu collocata nel santuario solo nel XVI secolo.
L’attribuzione dubitativa alla Spagna che era stata proposta nelle pubblicazioni legate al Poldi Pezzoli potrebbe perciò essere rivista (Brusa e Tomba, 1981, p. 404). Le due teche con la Vergine col Bambino sono dunque assai probabilmente circoscrivibili ad un’area di produzione marchigiana, in corrispondenza di Loreto. Gli altri due monili nella collezione milanese, che presentano uno stile leggermente differente e hanno bordi e occhielli diversi l’uno dall’altro, potrebbero provenire da altre botteghe italiane, anche se, in questi casi, la fissità delle iconografie non aiuta a collocarli più precisamente.
4. UN MONILE CINQUECENTESCO CON LA STATUA DELLA MADONNA DI LORETO
Il terzo caso che vorrei qui presentare è quello di un pendente proveniente dalla collezione di Ferdinand de Rothschild, ora esposto al British Museum di Londra. Il gioiello è molto diverso da quelli discussi finora, ma è riconducibile anch’esso a una rappresentazione della Madonna di Loreto (fig. 4).
L’oggetto, già assegnato in modo convincente agli anni centrali del XVI secolo (1525-1575 circa), ha una perla pendente aggiunta probabilmente in seguito, forse poco prima dell’acquisto da parte del barone. Pezzo tratto dalla collezione di Anselm Salomon von Rothshild (1803-1874), finì nelle mani del figlio Ferdinand in eredità. Questi infine decise di donarlo al British Museum nel 1898, assieme a svariate altre opere della sua collezione27.
Il monile è alto 66 millimetri e rappresenta una statua della Vergine con il Bambino, avvolta in un manto azzurro realizzato con lo smalto e ricoperto di stelle dorate. Granati e diamanti simulano visivamente i diversi gioielli ex voto che la statua recava sul mantello. Preziose offerte votive appaiono sovente rappresentate nei dipinti e nelle incisioni che rappresentano la statua della Vergine lauretana, che conobbero una discreta fama dal XVI secolo in poi (Grimaldi, 1993, pp. 287-395). L’opera lignea conobbe infatti una certa diffusione iconografica, e fu raffigurata sia in libri, che pale d’altare, che opere pensate per la religiosità domestica, quali piccole tavolette devozionali e incisioni. Un tratto tipico del gioiello sono le mani di Gesù che spuntano entrambe dal mantello: la destra è impegnata in un gesto benedicente, la sinistra sostiene il globo crucigero; sia la madre che il Bambino portano due corone, decorate con smalti bianchi e azzurri. Nel registro inferiore si vede una testa alata d’angelo caratterizzata dagli stessi colori. L’oggetto è ben conservato, ma presenta cadute di smalto parziali e ha subito, come si diceva, una sostituzione della perla pendente. Questa costituisce infatti un’aggiunta successiva, e presenta una montatura in metallo che già al primo sguardo appare di colore stridente rispetto all’oro utilizzato nel resto del gioiello.
Anche in questo caso, così come per le teche del Poldi Pezzoli, il manufatto è stato finora assegnato a bottega spagnola. Ciò è stato motivato nei precedenti studi con la somiglianza tra esso e i gioielli donati ai santuari spagnoli, pur riconoscendone talora le differenze stilistiche e iconografiche rispetto ai gioielli spagnoli della Virgen del Pilar28. Già Tait rilevava infatti come lo smalto blu traslucido, caratteristico dei gioielli donati alla Virgen del Pilar sia qui quasi del tutto assente, comparendo solo sul globo crucigero. Nel monile qui discusso domina invece il colore azzurro, che sembra essere più diffuso negli smalti italiani rinascimentali che in quelli spagnoli29. Questo colore della veste, sebbene non esclusivo, può essere trovato anche nelle raffigurazioni della Vergine lauretana nei dipinti (fig. 5)30.
Altro dettaglio che distingue questo oggetto dalla produzione spagnola è l’uso dello smalto bianco sui volti, che in tutti gli altri gioielli mariani attribuiti alla Spagna non c'è mai stato modo di incontrare (Hackenbroch, 1979, p. 313).
Si potrebbe forse obbiettare che la statua originale della Madonna di Loreto presenti in realtà la carnagione scura, ma le diverse rappresentazioni che di essa sono state fatte non presentano sempre questo requisito (figg. 5-6) (Paglioli, 2015, p. 61).
Va infatti tenuto presente che, come già è stato accennato, la statua della Vergine era stata collocata a Loreto solo alla metà del XVI secolo; il gioiello, databile stilisticamente agli stessi anni, non poteva dunque avere la pelle nera, perché la statua acquistò tale colorito solo con il passare degli anni e l’inesorabile effetto dei fumi delle candele votive. L’angelo posto in basso è un ulteriore segnale dell’iconografia lauretana, poiché richiama la tipica testina presente sotto alla Santa Casa di Nazareth nella traslazione (si confronti con figg. 1-2).
Quello che però fa pensare che il gioiello sia stato fatto a Loreto, o almeno in una bottega legata a uno dei tanti santuari che celebrano la figura della Vergine di Loreto in Italia, è la resa dei gioielli votivi rappresentati sulla veste, davvero tipica. Il manto celeste si presenta ornato da tre ordini di decorazioni aurificiarie: un bordo inferiore di gioielli e due grosse collane con altrettanti pendenti, uno rappresentato da una gemma e l’altro da una croce smaltata di bianco, mostrando una somiglianza incredibile con le rappresentazioni coeve lauretane (figg. 5-6)31. Si noti inoltre la posizione di Gesù bambino, assai particolare, con la testa spunta dalla veste in un modo tanto innaturale quanto tipico delle raffigurazioni lauretane (figg. 5-6). Questa caratteristica iconografica appare persino nei tatuaggi che i pellegrini in visita usavano farsi imprimere già nel Cinquecento, di cui le placchette cinquecentesche sono una vivida testimonianza ancora osservabile presso il Museo della Santa Casa a Loreto. Il libro di Caterina Pigorini Beri dedicato a questi tatuaggi, riporta diversi disegni in cui si notano chiaramente delle collane, di cui una proprio caratterizzata da un pendente a forma di croce32.
La realizzazione di souvenir di pellegrinaggio resta quindi molto in voga nel XVI secolo, in continuità con quello precedente. Sia che essi provenissero da famose mete di pellegrinaggio, come erano per esempio Gerusalemme o Santiago de Compostela, sia che si trattasse di oggetti da luoghi meno famosi, essi si riscontrano negli inventari privati33. Medaglie e piccole figure in argento dorato della Madonna lauretana sono attestate, per esempio, negli inventari dei cittadini veneziani34. Questi monili non dovevano essere troppo dissimili dal gioiello già menzionato del British Museum, anche se potevano essere di fattura più semplice. Esistevano infatti souvenir per ogni possibilità di spesa: se quindi la maggior parte di questi oggetti è ascrivibile a una produzione seriale, è possibile trovare anche esemplari di lusso, realizzati con tecniche diverse, di cui il monile qui discusso è un eccellente esempio35. Il gioiello qui menzionato potrebbe dunque essere stato acquistato da un pellegrino come ricordo, oppure aver costituito un’offerta votiva al santuario di Loreto o a uno dei santuari dedicati alla Vergine lauretana36.
5. CONCLUSIONI
Gli esempi riportati vogliono dimostrare che, oltre al confronto tra opere, lo studio dei gioielli può avvalersi di diverse fonti, sia documentali che iconografiche. Nell’indagare i souvenir di pellegrinaggio si parte sicuramente da una problematica legata all’altissimo numero di santuari dedicati alla Vergine Maria, che conoscono un aumento esponenziale proprio tra XV e XVI secolo (Niccoli,1998).
In questo contesto, nella miriade di santuari creatisi in Europa, definire esattamente quale immagine corrisponda a un determinato luogo di culto non è impresa facile, poiché ci sono attributi mariani ricorrenti, così come iconografie che si somigliano tra loro. Allo stesso tempo, va sempre tenuto presente che ci sono alcuni temi iconografici che evolvono e cambiano nel corso dei secoli in relazione allo stesso santuario, rendendo difficile l’identificazione con quelli originariamente legati al luogo. Il caso della Virgen de Los Desemparados a Valencia è emblematico in questo senso. La statua venerata in questo santuario spagnolo è infatti talvolta presentata con una veste azzurra e con il dettaglio iconografico dell’angelo alla base, che richiama da vicino i gioielli lauretani qui discussi37.
Tuttavia, va riscontrato che l’iconografia della statua Vergine lauretana presenta una combinazione di fattori che, presi nel loro insieme, la rendono unica: l’angelo alla base, il manto azzurro, la particolare posa del bambino, la rappresentazione delle collane ricolme di monili ex voto. Tutto ciò identifica esattamente quella statua della Madonna e non un’altra. Lo stesso si può dire per le rappresentazioni del miracolo della traslazione della Santa Casa, che ha elementi fissi sempre presenti: la figura angelica alla base dell’edificio, la casa, la Vergine e il Bambino alla sommità dell’edificio. Il campanile non è invece sempre presente, specie nelle rappresentazioni più tarde, ma ritorna nell’iconografia quattrocentesca e in quella dell’inizio del XVI secolo.
L’importanza data alla rappresentazione dei dettagli iconografici all’interno dei gioielli analizzati non è dunque casuale. La raffigurazione di temi complessi in oggetti così minuti è infatti volta a comunicare sia a chi possedeva e indossava i gioielli, come ricordo del pellegrinaggio svolto, sia alla comunità. Punto di partenza per la preghiera personale, ma anche oggetti distintivi dell’identità del pellegrino, i tre monili non erano quindi solo meri ornamenti, e potevano agire come oggetti rappresentativi dei loro devoti possessori, anche in qualità di ex voto. Le offerte votive sono infatti spesso costituite da monili perché essi rappresentano beni molto personali e di alto valore simbolico ed economico, simboleggiando sia la presenza del devoto donatore all’interno del santuario, sia la sua volontà di ringraziare con quanto di più prezioso egli avesse (Hahn e Chadour-Sampson, 2018).
Tutti questi livelli di comunicazione presenti nei gioielli, implicano che ci fosse quindi un linguaggio intelligibile dalle persone che li indossavano e dalla cerchia sociale con cui esse interagivano. Per questo ancor oggi è possibile indagare un simbolismo visivo che, nel periodo in cui tali gioielli furono concepiti, doveva essere facilmente comprensibile. Gli studi iconografici sono quindi di estrema rilevanza in relazione ai monili, specie quelli devozionali, per cercare di assegnarne più precisamente la provenienza geografica, per capirne il ruolo religioso, ma anche quello sociale.
In particolare, se analizziamo i gioielli in relazione al santuario di Loreto, va tenuto conto del forte simbolismo cattolico che esso assunse nel corso del Cinquecento. Indossare un monile come quello del British Museum doveva quindi essere un forte atto dichiarativo di fedeltà alla Chiesa di Roma.
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1 Professoressa a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia, affiliata alla Fondazione Arte della Seta Lisio di Firenze. Via Loredan 30, 35131 Padova. Mail: serena. franzon@gmail.com
2 Dove per decoro si intende non qualcosa di superficiale, ma un’attitudine all’ornamento che deriva dal tipico concetto medievale di decor che Giovanna Baldissin Molli ha chiarito con una felice definizione: “La parola latina decor vuol dire “bello” ed è della stessa famiglia di decet (ciò che conviene). Il decorativo è perciò una certa convenienza in una ornamentazione estetica o sensibile in un oggetto o in una immagine, in ragione della sua dignità, del suo senso, della sua funzione e della sua collocazione. Questa convenienza deve essere pensata in connessione con l’importanza che nel Medioevo ha la nozione polivalente di ordo. La parola ornatus è considerata anche come la traduzione latina del greco cosmos e designa precisamente l’ordine e quindi la bellezza immessa da Dio nella creazione. Quanto al termine ornamentum nel Medioevo è percepito come l’insieme di ciò che serve al buon funzionamento di una cosa (come le vele di una imbarcazione, a esempio). Non è dunque la nostra idea moderna di un’aggiunta superflua, quanto invece quella di un complemento necessario al buon svolgimento di una operazione, di un rito liturgico a esempio. Dunque la bellezza di una ornamentazione serve a celebrare la natura o le qualità degli esseri (o delle cose) che riveste”. Citato da Baldissin Molli (2018, pp. 86-87).
3Bordon, Nobile (2012, pp. 187-199); Ehala (2017).
4Morse (2005-2006, pp. 249-250); Cherry (2001, pp. 164-168); Franzon (2017, pp. 41-54).
5Bruna (1996); Kodelveij (1999, pp. 307-328). Si segnalano inoltre due siti, dedicati interamente a ricerche su questo tipo di manufatti: http://www.medievalbadges.org (Van Beuningen, 2024) e http://www.kunera.nl/Default.aspx (Radboud Universiteit, 2024).
6Rodolfo (1999, pp. 151-156). Dallo stesso catalogo si vedano anche le schede alle pp. 309-365 (D'Onofrio, 1999).
7 Questi oggetti potevano essere utilizzati nella pratica del pellegrinaggio mentale, per indirizzare la mente a condurre la meditazione spostando l’attenzione da un luogo sacro visitato all’altro. Anche i souvenir dipinti sulle pagine miniate dei libri d’ore potevano essere impiegati a tale scopo. Su quest’ultimo argomento si veda: Foster Campbell (2011, I, pp. 227-274). Van Asperen (2018, pp. 288-312). Più in generale, sul pellegrinaggio mentale si veda: Beebe (2015, pp. 409-420); Rudy (2011); Kühnel, Noga-Banai e Vorholt (2015).
8Van Asperen (2018, p. 308): “pilgrimage badges remained inextricably connected with the place of pilgrimage. They provided devotees with a cult image – a reliquary, a miracle-working statue or icon – connected with a specific site, and these badges could in theory be used to address the cult image in prayer if the devotee was not present at the cult site”.
9 Si consulti il database https://kunera.nl/en dove sono presentati moltissimi souvenir, fotografati, catalogati e ricondotti al santuario di provenienza (Radboud Universiteit, 2024).
10 A titolo di esempio si veda: Van Asperen (2018, pp. 288-312).
11 Come nel caso del pendente con Sant’Agata conservato al Museo Pepoli: https://amicimuseopepoli.altervista.org/museo/breve-guida/pag-5/pag-5.htm.
12 La tradizione narra che la Santa Casa della Vergine fu trasportata da Nazareth a Loreto per opera di angeli in volo. La descrizione del miracolo nacque attorno a un contesto storico ben preciso, quello dell’espulsione dei crociati dalla Terra Santa nel 1291 per mano delle truppe mussulmane. Pare che in quel frangente alcuni cristiani avessero salvato dalla distruzione la casa della Vergine, che fu trasportata in Illiria, e precisamente a Tersatto, dove ancora esiste un santuario che ricorda i fatti. Tra il 9 e il 10 dicembre 1294 avvenne il trasporto via mare verso la zona marchigiana di Recanati, che dista pochi chilometri da Loreto, sopra il cui colle fu definitivamente collocata. L’intera vicenda è presentata sul sito del santuario lauretano dove sono menzionati studi archeologici e filologici a supporto della tesi. Questi non verranno approfonditi in questa sede poiché non funzionali al tema dell’articolo: https://www.santuarioloreto.va/it/storia.html#:∼:text=Sia%20secondo%20l’autorevole%20tradizione,%22%2C%20in%20questo%20straordinario%20trasporto. Sul santuario di Loreto furono pubblicate nel XVII secolo delle opere che ne descrivono le fattezze, le reliquie e il culto, secondo una prassi in voga al tempo e comune anche per altri santuari. A titolo di esempio si veda Bartoli (1677).
13 Sulla differenza nelle pratiche devozionali cattoliche e protestanti e sul loro impatto sulla cultura materiale religiosa si consulti King (2012, pp. 153-175).
14Capitanio (2017), Pagnozzato (2003) da cui, in particolare Gri (2003, pp. 67-97).
15 Per esempio, a Padova all’interno della basilica di Sant’Antonio è presente una cappella dove è conservata una statua della Madonna con il bambino, con le due figure per lungo tempo caratterizzate da una carnagione scura, scomparsa totalmente dopo che il restauro ne ha ripristinato i colori originari. Il nome tradizionale di cappella della Madonna Mora, che ricorda il dettaglio della pelle scura, è però rimasto a testimonianza. Si veda: https://www.santantonio.org/it/content/cappella-della-madonna-mora. Celebre è anche la tavola dipinta con la Madonna Nera dipinta secondo la leggenda da San Luca e collocata a Czestochowa a partire dal 1382.
16 Basti consultare l’elenco (Wikipedia, 2024), assai numeroso al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Chiese_dedicate_a_santa_Maria_di_Loreto
17Brusa e Tomba (1981, p. 404); Balboni e Zanni (1996, p. 38).
18 Si vedano a titolo di esempio due pendenti al Metropolitan Museum e uno al British Museum:
inv. 17.190.966 https://www.metmuseum.org/art/collection/search/193707;
inv. 17.190.967 https://www.metmuseum.org/art/collection/search/193708;
AF.2892 https://www.bmimages.com/preview.asp?image=01613401569. I pezzi del Metropolitan Museum recano anche le immagini femminili, tipiche della commistione tra temi religiosi e sentimentali diffusa nel XV secolo: a riguardo: Bayer (2009, pp. 103-104). Franzon (2024, pp. 529-548).
19Cherry (2003, pp. 171-183); Franzon (2017, pp. 43-44); Galandra Cooper (2018, pp. 220-243).
20 Il motivo del nodo intrecciato appare anche nel verso di un esemplare al British Museum: inv. 1902,0527.26, https://www.britishmuseum.org/collection/object/H_1902-0527-26.
21 Per la scheda del dipinto del Gatti si veda https://www.metmuseum.org/art/collection/search/436445
Una raffigurazione analoga è contenuta anche nel frontespizio di Giuliano Dati, La historia di sancta Maria de Loreto, Andreas Freitag, 1492-1493 per il quale si veda Barcaioli (2019, pp. 221-222).
22 È il caso anche di un’opera fiamminga andata in asta da Kaupp, dove addirittura la testina dell’angelo assume caratteri aurificiari visibile in: Mouton, Francis (21 Settembre 2015). Nello stesso sito è anche visibile un’opera più tarda, di Annibale Carracci, nella chiesa romana di Sant’Onofrio al Gianicolo, dove l’angelo sotto alla casa è invece dotato di corpo. Si consulti anche la scheda di un’opera attribuita alla Francia e conservata al Metropolitan Museum: inv. 27.14.17 https://www.metmuseum.org/art/collection/search/195690 Tranne nel caso del Carracci, torna sempre anche l’elemento del campanile a connotare l’edificio.
23Paglioli (2015-2016, pp. 59-62): “L’iconografia della traslazione della Santa Casa, assolutamente innovativa e distintiva, si impone in breve tempo nell’immaginario devozionale collettivo e ancora oggi identifica in modo quasi esclusivo il culto: il sacello è raffigurato esternamente nelle sue forme reali e in corrispondenza del tetto appaiono la Madonna e il Salvatore, ritratti a mezzo busto, a figura intera o seduti”. La citazione è tratta da pagina 61. Si vedano anche le iconografie mostrate in Grimaldi (1993, pp. 287-395).
24 Ne esiste però una di inizio seicento, sempre con il dettaglio del campanile, correttamente ricondotto al santuario lauretano da Paola Venturelli: inv. 347-1870, https://collections.vam.ac.uk/item/O122801/pendant-unknown/ In questo caso si tratta di una teca in cristallo, come si usava dalla metà del XVI secolo in poi Venturelli (1996, pp. 51-52).
25Bruna (1996); Kodelveij (1999, pp. 307-328); Franzon (2017, pp. 44-45).
26Rodolfo (1999, pp. 151-156). Dallo stesso catalogo si vedano anche le schede alle pp. 309-365.
27Thornton (2015). Il cognome è solitamente indicato come von Rothshild per Anselm e de Rothshild per Ferdinand.
28 Si consulti la scheda dedicata al gioiello al link: http://wb.britishmuseum.org/MCN5059#1466627001
29Schestag (1872, no. 548); Read (1902, no. 191); Dalton (1927, no. 191); Hackenbroch (1979, pp. 339-40); Tait (1986, no. 24).
30 Diverso il colore ma analoga la disposizione dei tre ordini di collane nella Chiesa di Santa Caterina a Bergamo: https://santacaterinabg.it/borgo/storia-e-curiosita/; analogo il discorso per La Madonna di Loreto con Santi di inizio XVI secolo, a Cascia https://www.catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1000041336
31 Per la stessa ragione si ritiene che il gioiello esposto al Museo del gioiello di Vicenza nell’edizione 2017-2018 non rappresenti la Vergine di Loreto, ma possa piuttosto essere assegnato a un santuario spagnolo. Dovrebbe essere spostato nell’attribuzione sia per ragioni stilistiche (il viso dorato, il corpo completamente ricoperto di diamanti) che legate all’iconografia, che non corrisponde a quella della Vergine di Loreto. Purtroppo, non è stato concesso il permesso di visionare il verso del pendente (Adamson, 2017, pp. 50-53).
32Pegorini Beri (1889). Si vedano anche le incisioni in Grimaldi (1993, pp. 287-395). Immagini delle tavolette cinquecentesche utilizzate per imprimere i disegni sulla pelle sono visibili al link: https://www.destinazionemarche.it/tatuaggi-sacri-e-tatuaggi-profani-la-storia-dei-marcatori-di-loreto-2/.
33Hahn e Chadour-Sampson (2018, p. 30); Rodolfo (1999, pp. 151-156).
34Fortini Brown (2004, p. 176); Morse (2005, p. 341). Per esempi del XVII secolo si veda Pazzi (1995, p. 95).
35Franzon (2017, p. 49); Hackenbroch (1996, pp. 2-3).
36 Doni di questo tipo sono noti in altri luoghi di culto Hollis (1980, pp. 79-81).
37 Una rappresentazione figurativa di questa statua spagnola, con alcuni caratteri tipici della Madonna lauretana è visibile al link: https://www.alamy.com/stock-photo-hand-painted-glazed-azulejo-tiles-depicting-the-sacred-statue-and-20529498.html?imageid=754F1216-9ACE-4CAE-8F35-9838B8964295&p=5245&pn=1&searchId=3abfa407b3edc9c5128740948c5c7565&searchtype=0