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QUALITÀ E PROFESSIONE DOCENTE:
LA VALUTAZIONE COME RISORSA

 

Quality and the Teaching Profession:
Assessment as a Resource




Renata Viganòa

a Facoltà di Scienze della Formazione (Sede di Milano). Dipartimento di Pedagogia. Università Cattolica del Sacro Cuore.

Correspondencia: Università Cattolica del Sacro Cuore. Facoltà di Scienze della Formazione. Dipartimento di Pedagogia. Largo Gemelli, 1. 20123 Milán. Italia.

E-mail: renata.vigano@unicatt.it

 

Fechas de recepción y aceptación: 14 de octubre de 2016, 15 de diciembre de 2016

Riassunto: Alla luce della complessità del tema della valutazione scolastica il contributo esamina alcune pratiche valutative diffuse e si sofferma sulla questione del senso della valutazione. Esamina il problema di una valutazione scolastica troppo autoreferenziale e indica le direzioni per formare nei docenti la competenza valutativa come qualificante l’identità professionale e come leva strategica per la qualità della scuola.

Parole chiave: scuola, formazione docente, competenza valutativa, qualità dell’educazione.

 

Abstract: In view of the complexity of the subject of scholastic evaluation, the contribution examines some widespread evaluation practices and focuses on the question of the meaning of evaluation. It examines the problem of a too self-referential school assessment and indicates the directions for training teachers in evaluating competence as qualifying the professional identity and as a strategic lever for the quality of the school.

Keywords: school, teacher training, assessment competence, quality of education.

 

 

One can have the best assessment imaginable, but unless the accompanying curriculum is of quality, the assessment has no use. It will simply sit on a shelf, unused and unusable (Gardner, 1991)

1. La valutazione: un oggetto complesso fra tradizione e innovazione

Non c’è scuola senza voti: frequenti o periodici, intermedi o finali, sono una costante dell’istruzione ed è difficilmente immaginabile un sistema scolastico che ne faccia a meno. Gli insegnanti danno i voti, gli studenti e i loro genitori li aspettano (cfr. Hanson, 1993); le eccezioni sono rare e non a caso la scuola fanno notizia.

Negli ultimi decenni tuttavia gli esiti scolastici sono diventati un tema di rilievo politico (Guthrie, 1991): interessano i governi, sono citati dai ministri e rappresentano un indicatore di confronto fra Paesi. In realtà anche in passato l’attribuzione dei voti era l’approdo di una complessa costruzione sociale, con aspetti positivi e criticità (Benvenuto, 2003); l’introduzione dei test standardizzati, dapprima graduale poi viepiù cogente sino ad essere assunta dalle normative nazionali, ha però modificato lo scenario e suscitato nuove questioni (EACEA, 2009).

Fra queste vi è la necessità di armonizzare le procedure standardizzate connesse con il testing nazionale e internazionale, le pratiche quotidiane con cui gli insegnanti valutano e assegnano voti, le modalità e i vincoli degli esami di Stato e degli atti di certificazione finale. Tra questi diversi campi di azione valutativa si sono riscontrate collisioni più che integrazioni: la logica dell’aggiunta continua non ha facilitato l’appropriazione da parte dei sistemi e degli attori coinvolti. La “giungla normativa” (Dutto, 2013) che nell’area della valutazione scolastica regola tappe, appuntamenti, esami, verifiche, prove, giudizi, voti, accertamenti e ancora attende modifiche e definizioni, non è priva di contraddizioni che ne indeboliscono la credibilità. Con ciò si erode una delle strutture portanti dell’azione formativa della scuola, con un impatto negativo su studenti, famiglie e società. Perpetuare tradizioni o introdurre nuovi sistemi di votazione, aprire promettenti scenari di certificazione di competenze o costruire costosi impianti di national testing ha senso solo se a tali scelte corrispondono evidenze di miglioramento del livello di preparazione degli studenti e di qualità complessiva dell’azione scolastica; altrimenti si sprecano risorse ingenti e si alimentano malumori, sentimenti di sfiducia e demotivazione, ipocrisie di sistema e tensioni disgreganti.

In un interessante volume sulla scuola di M.G. Dutto (2013) il titolo scelto per il capitolo dedicato alla valutazione è paradigmatico: “Valutiamo meno, valutiamo meglio”; si valuta molto e si parla moltissimo di valutazione ma il buon uso di questa è una meta ancora lontana. Valutare serve se è parte integrante di un disegno progettuale e decisionale coerente e se tutti gli attori possono apprezzare ricadute per loro significative; se ciò non avviene, lo sforzo richiesto non è ripagato, la motivazione viene meno e prevalgono logiche di adempimento burocratico, reazioni avverse, strumentalizzazioni conseguenti a impieghi distorti delle informazioni (Viganò, 2011). Solo una valutazione competente e sostenibile può penetrare nel tessuto complesso del sistema scolastico e dare frutti durevoli nel tempo come strumento di miglioramento e sviluppo. L’obiettivo è ancorare la valutazione alla quotidianità e alle varietà interne al sistema, affinché ne diventi punto di forza (Landri, Maccarini, 2016).

L’accresciuto interesse per la valutazione scolastica è effetto – in sé positivo ma da governare con accortezza e lungimiranza – di un trend culturale che ha assunto il management efficace come modello di conduzione dei sistemi sociali (Viganò, 2016; Piketty, 2014); anche nella scuola la qualità è assunta come obiettivo di funzionamento e genera la definizione di standard di prestazione (cfr. Ball, 1998; Landri, 2014). In tale processo tuttavia non sempre si procede con la consapevolezza critica necessaria per modulare criteri e azioni a un contesto prioritariamente educativo e formativo; l’aspirazione della “scuola di qualità” è legittima e doverosa ma trova difficoltà a oggettivare meglio il suo orientamento (Meyer, Benavot, 2013).

Se alla valutazione fosse dedicata l’attenzione necessaria, molti aspetti dell’apprendimento e del funzionamento scolastico in generale potrebbero essere migliorati; occorre tuttavia ricordare che non può essere pensata come un oggetto esterno alla concezione della scuola e dell’apprendimento, al quale aggrapparsi per operazioni di giudizio funzionali ad avere risposte assolute e definitive alle domande suscitate dalla problematicità dell’insegnamento e dei suoi risultati. La ricerca ha posto in luce tutta la complessità dell’azione valutativa e con ciò le competenze necessarie per condurla e la prudenza nell’interpretarne i risultati; l’attenzione esclusiva all’oggettività delle informazioni raccolte è stata messa in discussione a favore di una più approfondita consapevolezza dell’intreccio di aspetti culturali, ideologici, sociali e psicologici connessi con le pratiche valutative (Scriven, 2007; Pawson, Tilley, 1997; Palumbo, Pandolfini, 2014).

In realtà, la valutazione scolastica implica una considerevole varietà di aspetti: è possibile riflettere su oggetti, soggetti, attori, livelli della valutazione, sulle finalità, sui metodi e sugli strumenti, sui trend internazionali e sulle politiche nazionali e così via. Nel quadro delineato, le pagine seguenti si soffermano in particolare sulla questione dell’impiego della valutazione come dimensione essenziale e qualificante la funzione docente, nella prospettiva della qualità dell’azione scolastica e dello sviluppo professionale dell’insegnante (cfr. Goisis, 2013; Lieberman, Miller, 2001; Damiano, 2004).

2. Pratiche valutative e senso della valutazione scolastica

La pratica quotidiana dà evidenza della problematicità della valutazione e della presenza di atteggiamenti differenti o addirittura contrastanti. Nella vita scolastica sussistono diversi tipi di pratiche di verifica impiegate a scopo valutativo: interrogazioni orali e compiti scritti, saggi da elaborare e problemi da risolvere, test di conoscenza e prove argomentative, esami intermedi e finali e altro ancora. Differenti situazioni valutative dovrebbero corrispondere a scopi diversi ma complementari, fra loro integrati, in funzione dei quali scegliere modalità e procedure (cfr. Lichtner, 2004; Domenici, 2001; Coggi, Notti, 2002). Non sempre però tali condizioni sono presenti.

Nel lavoro scolastico la valutazione è praticata per innumerevoli ragioni e genera effetti differenti: richiamare all’impegno, sanzionare un comportamento scorretto, indicare un apprendimento non conseguito, rafforzare o indebolire i sentimenti di autoefficacia e di autostima ecc. Si valuta per selezionare, per controllare la comprensione di un argomento, per accertare l’efficacia di un metodo di insegnamento, per certificare un’abilità o competenza, per mantenere costante un impegno. Vi sono valutazioni diagnostiche, utili per conoscere per esempio il livello iniziale di uno studente in un dato ambito, e valutazioni certificative, tipiche degli esami finali vòlti a decretare il possesso competenze che hanno un valore sociale (Pellerey, 1994). Esiste la valutazione condotta dal singolo insegnante in una determinata disciplina e articolata in più momenti del percorso di apprendimento e quella collegiale espressa da più insegnanti alla fine di un periodo di attività (trimestre, anno, ciclo).

Dalle verifiche disseminate lungo l’anno scolastico – compiti scritti, interrogazioni orali, realizzazioni di gruppo, prove oggettive, attività informali – si traggono valutazioni sommative che per lo più trovano espressione nel voto in pagella e al più nella documentazione ufficiale connessa; merita tuttavia interrogarsi sulla precisione e la chiarezza di un giudizio ricavato da compiti e prestazioni differenti ossia da informazioni fra loro eterogenee che vanno a confondersi in un’unica formula di sintesi. Né si deve ignorare che la pratica concreta della valutazione non è disgiunta dalle situazioni di contesto e può variare secondo la tipologia di classe e gli obiettivi perseguiti dagli insegnanti (Vertecchi, 2003). A parità di livello scolastico, non hanno medesimo significato le valutazioni in tre classi di cui una in una scuola con ragazzi a rischio sociale, un’altra in una scuola con un’utenza di estrazione sociale e culturale medio-alta, una terza in una classe con più del 30% di studenti di recente immigrazione. Ciascun insegnante esperisce che le classi non sono mai uguali da un anno all’altro e modula la sua valutazione di conseguenza.

Si potrebbe proseguire a lungo con gli esempi ma la pur breve analisi sviluppata permette di approdare ad alcune considerazioni utili per proseguire nella riflessione.

La prima riguarda la complessità della valutazione scolastica: ogni semplicismo (voti sì/ voti no; meglio i voti/ meglio le lettere; bocciare sì/ bocciare no ecc.) è del tutto inadeguato (Calonghi, 1983; 1990). Discutere di valutazione scolastica in termini generali, senza ragionare su scopi, modalità attuative e conseguenze, alimenta confusione e non genera miglioramento.

La seconda attiene ai diversi effetti suscitati dalla valutazione, dei quali l’insegnante deve essere consapevole per evitare di condurla in maniera impropria. La competenza valutativa è una dimensione professionale qualificante il docente, atta a ricavare informazioni sull’apprendimento e sullo sviluppo dello studente allo scopo di regolare l’azione didattica (Maccario, 2011); è errato fare della valutazione uno strumento disciplinare o una tattica per stimolare la competizione o per minacciare.

La terza indica la valutazione come parte integrante del processo formativo e didattico, fra le cui fasi essenziali deve sussistere coerenza: scegliere e definire con precisione gli obiettivi (conoscenze, capacità, competenze) da conseguire attraverso attività formative e didattiche a loro volta scelte e predisposte in maniera da essere funzionali agli obiettivi, predisporre strumenti adatti a raccogliere informazioni pertinenti e coerenti con ciò che si vuole valutare, interpretare le informazioni raccolte attribuendo loro un significato in relazione all’obiettivo e al processo di apprendimento, formulare un giudizio (Pellerey, 1994; Calonghi, 1990). Ciascun passaggio include aspetti di discrezionalità e di confronto/negoziato (con altri insegnanti, con gli studenti, con problematiche e questioni personali o di contesto ecc.) e possono pertanto prodursi errori o incongruenze che ricadono sulla validità del giudizio. Fuori da tale processualità però la valutazione scolastica perde senso e significato.

La quarta individua nella classica sequenza logica “perché – cosa – come” un riferimento valido anche per impostare la valutazione. Occorre innanzitutto chiarire perché si valuta: qual è lo scopo; chi utilizzerà i risultati delle informazioni raccolte: gli studenti, gli insegnanti, l’istituto scolastico, lo Stato; con quali differenti intenzioni e interpretazioni; con quali diversi effetti e conseguenze. Bisogna quindi individuare che cosa si valuta, ossia l’oggetto della valutazione (obiettivo di apprendimento), in maniera che sia coerente con lo scopo da soddisfare, chiaro, significativo e ben calibrato. Di conseguenza, vanno scelti e definiti metodi e strumenti con cui compiere la valutazione così da assicurare obiettività al giudizio. In tale processo vanno previsti con cura anche i modi di comunicazione degli esiti e del giudizio, sempre alla luce degli scopi della valutazione (cfr. Black, Harrison, Lee, Marshall, Wiliam, 2003).

3. Una valutazione “troppo scolastica”?

Osservazioni, studi e ricerche sviluppati nell’arco di più decenni hanno dato evidenza a caratteristiche del processo valutativo dalle quali ha preso consistenza la necessità di rinnovare la valutazione scolastica cosiddetta “tradizionale” (Blum, Arter, 1996; Wiggins, 1993; Anderson, Krathwohl, 2001).

Impostazione e modalità della valutazione condizionano l’apprendimento dello studente, in termini di processi, contenuti e significato complessivo (Maccario, 2011; Margolis, 2001). Appartiene all’esperienza di ciascun insegnante la richiesta, da parte degli studenti, di conoscere come sarà verificato il loro apprendimento (come sarà il compito, l’interrogazione, su quali argomenti ecc.) per adattare lo studio in funzione della prova da sostenere (Vertecchi, 2003). Tale atteggiamento denota probabilmente pragmatismo ma suscita perplessità sotto il profilo educativo: lo studente si adatta alle attese dell’insegnante; non è certo però che ciò generi apprendimento significativo. Purtroppo, molta valutazione scolastica verifica conoscenze che restano per così dire inerti e non concorrono ad integrare le abilità e le competenze verso traguardi di sviluppo crescenti (Weeden, Winter, Broadfoot, 2009). A fronte di un contesto sociale e lavorativo sempre più esigente sul piano delle capacità di pensiero critico, di problem-solving, di metacognizione, di apprendimento continuo, di lavoro collaborativo, la valutazione scolastica tradizionale soffre il retaggio di una logica vòlta al controllo di ciò che è stato insegnato, senza dare ragione della significatività di tale contenuto (Whitehead, 1929; Bereiter & Scardamalia, 1989; Wiggins, 1993). L’impiego per così dire ambiguo della valutazione produce inoltre effetti motivazionali impropri negli studenti, che la recepiscono non come riscontro utile per orientare il processo di apprendimento ma come strumento selettivo che può minacciare o affermare il loro valore.

La valutazione dovrebbe esprimere elementi di predittività su ciò che lo studente sa fare alla luce delle conoscenze possedute, qualora si trovasse in contesti diversi da quello scolastico. Quella tradizionale premia le capacità di memorizzare e riprodurre le conoscenze o le abilità insegnate in classe ma non avvalora chi le rielabora in modo personale oppure ne sviluppa altre diverse da quelle stabilite. Fornisce informazioni soprattutto sulla conoscenza dichiarativa o procedurale (ciò che lo studente sa o sa fare); queste restano però prive di significato se non sono accompagnate da altre riguardanti possesso di disposizioni ad attivarle quando una situazione richieda quelle particolari abilità (Castoldi, 2012).

Le trasformazioni culturali e sociali e quelle dei sistemi economici e produttivi hanno indotto cambiamenti profondi, pur non privi di ombre e contraddizioni, nella concezione dell’istruzione scolastica; contenuto, metodi e obiettivi dell’apprendimento sono oggetto di discussione, con particolare attenzione al ruolo attivo e centrale del discente; anche il significato e le modalità della valutazione sono materia di discussione (Blum, Arter, 1996). Vari studi (Comoglio, 2003; Belfield, Levin, 2007; Hanushek, Woessmann, 2010) hanno tuttavia rilevato un progressivo abbassamento del livello di apprendimento e posto in dubbio l’efficacia della scuola e il valore degli esiti di apprendimento da questa verificati e certificati. La questione è complessa e va accostata con adeguata finezza critica quanto a correttezza delle attese ed eccessi di funzionalismo nella visione della formazione scolastica; è tuttavia indubbio che lo snodo della significatività dell’apprendimento scolastico sia problematico. I riscontri delle indagini internazionali indicano incongruenze fra i risultati di apprendimento indicati dalle certificazioni scolastiche e l’effettivo possesso di capacità di comprensione profonda, di formulare inferenze e ipotesi, di integrare conoscenze tratte da discipline diverse e di rielaborarle applicandole a situazioni differenziate. Tali criticità hanno indotto un’enfasi crescente sul concetto di competenza come obiettivo dell’insegnamento e come oggetto di valutazione, al punto da essere ormai assunta anche negli indirizzi internazionali e nelle normative nazionali sull’istruzione scolastica.

Sotto il profilo valutativo ciò implica un compito assai complesso: un apprendimento significativo, profondo e stabile non può essere indotto solo da un insegnamento con assimilazione delle conoscenze ma avviene dopo molte esperienze e riflessioni, dopo aver elaborato in più forme un contenuto, dopo aver affrontato molti problemi e aver praticato numerosi transfer (Salomon, Perkins, 1998); a tale processo corrisponde perciò una valutazione continua che progredisce secondo i diversi livelli di profondità dell’apprendimento e si differenzia nella varietà di contesti e situazioni a cui esso si applica. In altre parole, come l’istruzione deve coinvolgere gli studenti in apprendimenti essenziali orientati a obiettivi di livello elevato (problemi complessi, pensare critico, creativo), in prestazioni reali e significative che li sfidano e richiedono l’integrazione di conoscenze e di abilità, così la valutazione deve controllare lo studente in compiti che non richiedono di ridire una conoscenza ma invitano ad applicarla a problemi mal strutturati, in contesti reali simili a quelli in cui lavorano gli adulti, nell’integrazione di più routine in abilità complesse (Wiggins, 1998).

La valutazione incide inoltre sulla motivazione ad apprendere. Negli ultimi decenni varie ricerche (Black, Harrison, Lee, Marshall, Wiliam, 2003; OECD, 2005) hanno indicato che una valutazione attenta solo ai criteri di precisione “metrica” e di oggettività genera effetti talvolta negativi sulla motivazione ad apprendere. Occorre tenere conto che la motivazione scolastica è estrinseca, giacché connessa con obiettivi stabiliti dall’insegnante; risultati negativi o scoraggianti, non accompagnati da un accorto supporto motivazionale orientato al miglioramento, in sé possono indurre demotivazione e tendenza all’abbandono. Secondo Stiggins, Arter, Chappuis e Chappuis (2004) la motivazione intrinseca è sostenuta quando lo studente prova un senso di controllo e di scelta, ha frequenti e specifici feedback sulla prestazione, incontra compiti che lo sfidano ma non lo minacciano, è in grado di autovalutarsi in modo equilibrato, percepisce l’apprendimento connesso con la vita quotidiana. All’opposto, costrizione e intimidazione, ricompense e punizioni, confronto giudicante con altri studenti, feedback rari e vaghi indeboliscono la capacità di sviluppare una motivazione intrinseca all’apprendimento. In realtà, molti insegnanti oggi sono attenti a tale dimensione; non sempre tuttavia sono in possesso di adeguate competenze didattiche e valutative corrispondenti, a motivo per lo più di perduranti carenze nei percorsi di formazione iniziale e continua dei docenti.

Sono pertanto evidenti le ragioni della necessaria coerenza fra modalità di valutazione e impostazione di insegnamento. Una didattica trasmissiva difficilmente trova corrispondenza in risultati soddisfacenti se la valutazione dà importanza al pensiero critico o al problem-solving; gli obiettivi di apprendimento promossi da attività didattiche che sollecitano creatività e cooperazione fra gli studenti non sono adeguatamente valutati da verifiche centrate sulla riproduzione di nozioni. Quando obiettivi di apprendimento e modalità di valutazione non sono chiaramente definiti e palesi prima dell’insegnamento, può accadere che il processo didattico non sia funzionale al raggiungimento dei primi, al punto da invalidare i risultati di apprendimento anziché promuoverli (Pellerey, 1994)

La valutazione ha inoltre in sé uno specifico valore educativo poiché intende comprendere una situazione per esprimere su di essa un giudizio fondato e alla luce di questo supportare una decisione vòlta al miglioramento o al raggiungimento di obiettivi ulteriori. Se correttamente impostata, dovrebbe essere responsabilizzante nei confronti dello studente aiutandolo ad autovalutarsi e a cercare soluzioni adeguate alle eventuali difficoltà. A ben vedere, autovalutarsi nel proprio apprendimento è la naturale conclusione del processo di apprendimento medesimo. La valutazione scolastica tradizionale ha invece separato i compiti: lo studente apprende, l’insegnante valuta. Ciò in aperta contraddizione con uno dei compiti principali della scuola ossia formare ad apprendere per tutta la vita, al quale considerevole enfasi è data dalle direttive degli organismi internazionali e nelle recenti normative scolastiche di molti Paesi.

In questa prospettiva assurgono ad aspetti affatto secondari della buona valutazione la collaborazione fra insegnanti, studenti e genitori perciò la trasparenza del processo valutativo: obiettivi, criteri, modalità di valutazione dovrebbero essere chiari e condivisi, sulla base del progetto educativo e di apprendimento che li fonda. La ricerca in argomento indica che gli studenti, quando conoscono con chiarezza e per tempo questi aspetti, accrescono il loro impegno, accettano meglio i giudizi sulla loro prestazione e assumono la responsabilità di migliorarla. Quando tali condizioni non sono presenti sorgono spesso contestazioni, si rilevano tendenziosità di giudizio, non vi è disponibilità al miglioramento (Black, Harrison, Lee, Marshall, Wiliam, 2003; Messana, 1999).

Tale impostazione sposta il baricentro della valutazione ridefinendo i ruoli degli studenti, dell’insegnante e dei genitori e ponendo in risalto che proprio tale attività può essere terreno elettivo di collaborazione fra tutti gli attori del lavoro scolastico. Lo studente deve essere più attivo e responsabile rispetto al suo apprendimento: discute con l’insegnante gli obiettivi, progetta attività che tendono a sollecitare i suoi punti forza ma anche quelli deboli, riprogetta il proprio lavoro movendo dalla percezione degli aspetti che gli risultano facili e da quelli che sono per lui una sfida da superare, tramite un percorso che documenti la crescita e recuperi l’autostima. Lo studente si impegna ed è valutato su problemi aperti per i quali deve trovare una soluzione o più soluzioni ragionevoli.

L’insegnante, più che agente di controllo della capacità di riprodurre conoscenze, progetta obiettivi significativi da conseguire in ambienti di apprendimento simili a quelli reali, propone prestazioni sfidanti, assiste e guida lo studente nel cammino per conseguire i risultati previsti, riflette con lui sulle prestazioni realizzate per comprendere i risultati conseguiti e quelli ancora da raggiungere, lo aiuta a procedere.

I genitori contribuiscono al progetto di apprendimento, sono invitati a fornire valutazioni che aiutano a considerare meglio il progresso generale dello studente, concordano piani di intervento e di collaborazione, verificano i punti forza e di debolezza, discutono con l’insegnante propensioni, disposizioni e collaborazioni per superare le difficoltà.

4. Formare la competenza valutativa nella professionalità docente. Un impegno strategico per la qualità della scuola

Alla luce delle considerazioni precedenti non è difficile capire le ragioni delle difficoltà e talvolta degli insuccessi di interventi legislativi riguardanti la valutazione, carenti nella capacità di prevedere la soluzione o compensazione delle criticità –obiettivi non chiari, competenze presunte ma spesso non diffuse negli insegnanti, insufficiente cultura valutativa nei diversi attori ecc. – che hanno via via reso inadeguata la valutazione scolastica tradizionale ma che farebbero naufragare qualsiasi intento migliorativo (Dutto, 2013). Non basta introdurre innovazione per attendersi buoni risultati; le novità potrebbero peggiorare i problemi o ingenerarne altri se non è chiaro quali competenze occorre consolidare o formare negli insegnanti e se non si pongono in atto interventi concreti per migliorare la cultura e la pratica quotidiana della valutazione, anche con un’adeguata preparazione degli insegnanti circa il modo corretto di raccogliere informazioni sull’apprendimento dello studente e di dare luogo ad una valutazione flessibile attenta al miglioramento e alla motivazione, per costruire una valutazione finale attendibile e accettabile.

La valutazione scolastica ha una complessità di riferimenti e di risvolti che richiedono un elevato livello di competenza dell’insegnante. Valutare non è semplicemente attribuire giudizi o voti; né basta cercare una sempre maggiore oggettività anche se questa è necessaria. La valutazione ha radici profonde anche nel modo di concepire l’apprendimento da parte dell’insegnante, di condurre la didattica, di relazionarsi con gli studenti (Schon, 1983, 1987; Damiano, 2005).

Per rinnovare la valutazione scolastica non basta introdurre una nuova pratica che rilevi un vero apprendimento, sono indispensabili anche una nuova visione del processo di apprendimento, di nuove forme con le quali rilevarlo e accompagnarlo, fiducia nella possibilità e nell’importanza di coinvolgere l’autovalutazione dello studente, strumenti e forme che dimostrino attenzione alla motivazione nel momento in cui si dà un feedback all’apprendimento. La valutazione si accompagna ad uno stile di insegnare, a un modo di immaginare il processo di apprendimento. È uno strumento per migliorare l’insegnamento e l’apprendimento, per verificare i punti deboli e i punti forti di entrambi e indirizzare le strategie migliorative.

Nell’arco dei decenni sono maturati nuovi orientamenti e nuove metodologie valutative atte a migliorare e supportare la professionalità docente e la qualità del lavoro scolastico. Nella complessità dello scenario sociale, c’è ancora e ci sarà sempre bisogno di insegnanti che si prendono cura dei loro studenti, di professionisti autorevoli in classe, di docenti che consolidano la propria biografia professionale entrando in un ciclo vitale di crescita culturale.

La qualità della valutazione scolastica è correlata alla competenza degli insegnanti, teorica e tecnica. Talvolta in realtà si riscontra poca disponibilità a consolidare la dimensione teorica, percepita come scarsamente utilizzabile sul piano operativo. L’accusa di astrattezza rivolta a certa pedagogia, non sempre senza comprensibili ragioni, ha ingenerato una non lieve diffidenza anche nei confronti di proposte teoreticamente ben fondate. La professionalità dei docente è stata anche illusa dalla proposta di facilismi didattici, come se l’assunzione di determinate tecniche di insegnamento e l’applicazione di procedure e strumenti valutativi fosse in sé risolutiva. E’ del tutto comprensibile che l’impegno didattico quotidiano dell’insegnante direzioni le energie sul piano applicativo. E’ però necessario che questi, per non restare prigioniero di una logica di mero consumo della competenza, introduca nell’impegno operativo anche l’attenzione alla rielaborazione riflessiva e teorica. In realtà, la dimensione pratica del lavoro del docente è anche la sua principale risorsa professionale: l’operatività è una fonte inesauribile di informazioni, se è condotta con la dovuta riflessività; quest’ultima sarà tanto più ricca quanto più sarà in grado di accostare il livello teorico (Schon, 1983, 1987; Montalbetti, 2005).

La formazione iniziale è solo un atto di ingresso all’insegnamento; diventare insegnanti implica percorrere una pluralità di esperienze formative e professionali (l’insegnamento, la progettazione dell’offerta formativa, la ricerca didattica, l’esercizio professionale della valutazione, le attività di aggiornamento e formazione in servizio ecc.). Ciò non sarebbe però sufficiente senza la disponibilità a riorganizzare e migliorare il proprio insegnamento attraverso un approccio riflessivo che rimette in gioco le risorse cognitive ed emozionali. L’insegnante non è un bricoleur, non si limita ad utilizzare repertori e tecniche senza capitalizzarle ma riflette sulle pratiche con strumenti concettuali sempre più affinati. Ciò vale anche per la valutazione la quale rappresenta un aspetto dell’insegnamento in cui la professionalità docente è chiamata ad esprimersi integrando tutte le competenze che ad essa concorrono: cognitive, relazionali, comunicative, didattiche, formative, cooperative, strategiche, critiche, metacognitive e autoformative (Cfr. Cenerini, Drago, 2001; Perrenoud, 2002).

Nell’implementazione delle politiche dell’istruzione occorrerebbero maggiori consapevolezza e considerazione della complessità del lavoro del docente; solo operando nella direzione della formazione, selezione e supporto di una professionalità di alto profilo – quale è e deve essere – sarà possibile attingere ai livelli di qualità della scuola e della formazione corrispondenti alle necessità sociali e civili. La professionalità docente integra un ampio spettro di dimensioni, connesse con i valori perché ha responsabilità educative, con i saperi giacché deve possedere competenze culturali e didattiche, con la riflessività poiché necessita la continua analisi critica del proprio modo di esercitare la professione e la volontà di apprendere dall’esperienza.

L’insegnante ha una responsabilità pubblica che impone l’assunzione di un’etica del lavoro fatto bene, l’impegno educativo verso i ragazzi, la formazione di persone e cittadini consapevoli ed attivi. La dimensione culturale della professione comprende la padronanza dei nuclei fondamentali delle discipline oggetto di insegnamento: conoscenze essenziali, quadri concettuali, connessione di informazioni e nozioni riferibili a specifici contenuti disciplinari. Tale padronanza si estende alle conoscenze di tipo procedurale, immaginativo e rappresentativo, ricche sul piano formativo e indispensabili su quello professionale. Nella professionalità docente le competenze culturali e disciplinari vanno interpretate ed espresse ai fini della loro insegnabilità per promuovere apprendimento e formazione; in tal senso, le competenze disciplinari vanno integrate e “agite” in virtù di un solido possesso di competenze pedagogiche e didattiche fra cui quelle valutative. Ciò implica che l’insegnante non sia un mero esecutore operativo di repertori di strumentazioni utili a gestire l’insegnamento; la sua professionalità si manifesta in forma situata ma poggia sulla capacità di attivare di volta in volta competenze teoriche e pratiche, diagnostiche e progettuali, osservative e riflessive così da rileggere le esperienze quotidiane in termini di riflessività.

Mai come oggi probabilmente la società ha bisogno di buone scuole e di buoni insegnanti e mai come oggi la valutazione è uno snodo autenticamente strategico per promuovere apprendimento significativo, sviluppo sociale e territoriale, crescita culturale e avvaloramento della risorsa umana. Nella valutazione la professionalità docente trova un punto di sintesi delle dimensioni che la compongono e la scuola trova un potenziale innovativo che se, adeguatamente riconosciuto e impiegato, ne fa un soggetto primario della crescita degli individui e delle comunità.

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