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LA RICERCA COME RISORSA PER L’INSEGNANTE

 

Research as a Teaching Resource




Katia Montalbettia

a Facoltà di Scienze della Formazione (Sede di Brescia). Dipartimento di Pedagogia. Università Cattolica del Sacro Cuore.

Correspondencia: Università Cattolica del Sacro Cuore. Facoltà di Scienze della Formazione. Dipartimento di Pedagogia. Via Trieste 17. 25121 Brescia. Italia.

E-mail: katia.montalbetti@unicatt.it

 

Fechas de recepción y aceptación: 19 de enero de 2017, 15 de marzo de 2017

Riassunto: Il contributo si incentra sulla ricerca come profilo essenziale della figura dell’insegnante e come risorsa per il miglioramento della qualità della pratica professionale dei docenti oltre che per la promozione dell’apprendimento critico da parte degli studenti nella cornice generale della teoria e della pratica scolastiche. L’idea principale è che la ricerca deve informare l’intero insegnamento e il processo di apprendimento “da dentro” e non “accanto”. In questa prospettiva, la ricerca rappresenta non solo un’attività (da fare), ma anche una dimensione dell’identità professionale dell’insegnante (da essere). Per rendere possibile e sostenibile la ricerca dell’insegnante, è necessario agire non solo sul percorso formativo del docente e sulla sua attività professionale, ma anche sulle condizioni organizzative della pratica scolastica.

Parole chiave: profilo docente, migliora qualità educativa, identità professionale docente, professorato.

 

Abstract: The contribution focuses on research as an essential profile of the teacher’s figure and as a resource for improving the quality of professional practice of teachers as well as for promoting critical learning by students in the overall framework of the theory and practice of school. The main idea is that research must inform the whole teaching and learning process “from within” and not “next”. In this perspective, research is not only an activity (to do), but also a dimension of the teacher’s professional identity (to be). In order to make the research of the teacher possible and sustainable, it is necessary not only to act on the teacher’s training course and its professional activity, but also on the organizational conditions of the school practice.

Keywords: teacher profile, improves educational quality, professional professor identity, professorship.

1. La pratica educativa come forma di conoscenza

La natura del rapporto fra ricerca e insegnamento va accostata all’interno del più ampio dibattito circa la relazione fra teoria e pratica. Nella scia degli studi di Schön (1983, 1987), a partire dalla fine degli anni Ottanta in ambiti disciplinari diversi, il modello della razionalità tecnica, fondato su una visione applicativa e unidirezionale, è rimesso in discussione; consegue la valorizzazione della pratica come contesto nel quale i professionisti, in qualità di soggetti epistemici, apprendono facendo e dialogando con la situazione in cui operano (Barbier, 1996; Fabbri, 2007; Fabbri, Melacarne, Striano, 2008; Korthagen, 2001; Rasmussen, 2011).

In ambito educativo i limiti dell’approccio tecnico-razionale emergono in modo evidente (Damiano, 2006); il professionista infatti è chiamato a confrontarsi con situazioni sempre nuove e uniche per fronteggiare le quali ha bisogno non di ricette preconfezionate ma di strategie complesse che poggiano in prima istanza sulla capacità di decodificare tale complessità e di corrispondervi in modo appropriato alla luce del contesto in cui si opera (Mortari, 2003; Michelini, 2013). La pluralità di interpretazioni possibili, il consenso non scontato sulle mete, la varietà delle strategie operative richiedono il possesso di una razionalità di tipo euristico-riflessivo in modo da orientare il proprio agire in funzione della situazione costruendo una teoria del caso unico (Schön, 1983).

L’epistemologia fondata esclusivamente sul modello tecnico-strumentale è pertanto considerata riduttiva per lo studio della pratica professionale educativa poiché non permette di ponderare il valore di forme di conoscenza diverse da quelle fondate sulla verifica empirico-sperimentale (Pedler, 2016); accanto al sapere che origina dallo studio dell’educazione secondo criteri metodologici prestabiliti e all’interno di uno spazio temporale ben delimitato, è progressivamente riconosciuto un sapere di tipo pratico (Cattaneo, 2009; Rasmussen, 2011) che si sviluppa durante l’azione educativa secondo modalità procedurali e temporali flessibili non sempre facilmente identificabili dall’esterno (Damiano, 2004, 2006). Ad una conoscenza prodotta secondo i canoni scientifici ed impiegata per meglio leggere e interpretare l’oggetto educazione è complementare un sapere che origina dall’educazione in azione e dall’esigenza di trovare volta per volta soluzioni efficaci e pertinenti. Si configurano forme di produzione differenziate rispetto sia alle modalità procedurali adottate sia agli obiettivi perseguiti ma non subordinate dal punto di vista gerarchico.

L’azione è una forma di conoscenza sui generis poiché i professionisti nella loro pratica professionale sono impegnati nella costruzione e ricostruzione piuttosto che nell’applicazione sic et simpliciter del sapere (López-Pastor, Monjas, Manrique, 2011). In questa rinnovata epistemologia il professionista sviluppa nuove conoscenze e nuovi schemi d’azione per far fronte all’indeterminatezza delle situazioni; il sapere non rappresenta un dato preesistente ma è l’esito di un processo attivato attraverso una conversazione riflessiva con la situazione in cui agisce.

Affinché nell’azione si generi conoscenza è necessario ma non sufficiente rendere la propria pratica oggetto di riflessione (Montalbetti, 2005); il rischio di banalizzare la pratica riflessiva riducendola ad un atto spontaneo, informale ed episodico di commento e descrizione del proprio agire professionale è infatti presente (Do Céu Roldao 2008; Magnoler, 2012). La riflessione occasionale, indotta per lo più dal confronto con situazioni problematiche, da esiti non attesi o insoddisfacenti costituisce un’esperienza assai comune; l’indagine riflessiva si configura invece come un processo intenzionale e sistematico nel quale il professionista assume ad oggetto di analisi se stesso e la sua azione nel funzionamento ordinario grazie ad un atteggiamento analitico fondato sull’utilizzo delle conoscenze teoriche e pratiche pregresse, sulla teorizzazione della situazione da analizzare e sulla produzione di conoscenze (Goisis, 2013).

Nel suo agire, il professionista riflessivo è guidato dalla volontà di migliorare la qualità della sua azione, la conoscenza generata assume un valore locale ed ha come riferimento la comunità professionale cui appartiene (Albarello, 2004). Per guardarsi dal rischio dell’autoreferenzialità ha la possibilità di iscrivere la pratica riflessiva nella logica di ricerca adottando un modo di procedere rigoroso e sistematico fondato sui criteri dell’esplicitazione, della trasparenza del processo e del confronto intersoggettivo; in tale situazione, il valore della conoscenza travalica i confini spaziali della comunità scolastica e permette l’individuazione di elementi trasferibili ad altre situazioni simili nello spazio e nel tempo (Montalbetti, 2005). In questa prospettiva, la conoscenza prodotta è finalizzata non solo al miglioramento dell’azione professionale ma anche allo sviluppo di un sapere per l’educazione (Pring, 2000).

2. La competenza di ricerca nella pratica professionale docente

Il riconoscimento del sapere prodotto nella pratica offre chiavi di lettura nuove per leggere in modo più articolato il rapporto fra insegnamento e ricerca prendendo le distanze da una visione che considera i docenti come meri consumatori dei prodotti della ricerca (Christianakis, 2010; Mockler, Groundwater-Smith, 2017); tale interpretazione è stata ampiamente rimessa in discussione sul piano teorico ed ha rivelato i suoi limiti su quello pratico contribuendo ad allontanare practitioners e ricercatori con un impoverimento generale della qualità sia della ricerca sia della pratica educativa (Mortari, 2010; Panda, Rajen, 2014).

Sul piano della riflessione scientifica nazionale e internazionale, la dimensione della ricerca è ampiamente riconosciuta come competenza qualificante la professionalità educativa, e perciò anche quella insegnante (Baldacci, Frabboni, 2013; Coggi, Ricchiardi, 2005; De Landsheere, 1978; Felisatti, Clerici, 2009; Hensler, 1993; Mellouki, 2010; Mialaret, 1999; Nuzzaci, 2012; Trinchero, 2002; Viganò, 2016; Wentzel, 2008); non mancano inoltre analisi riferite alla sua specificità all’interno di campi disciplinari specifici (Sayac, 2012; Horoks, Grugeon-Allys, 2015). Con particolare riferimento al nostro contesto, ove la figura dell’insegnante-ricercatore è poco diffusa a differenza di altre realtà (Demougin, 2013; Van der Maren, 2008), risulta interessante esplorare le declinazioni operative attraverso le quali il docente può mobilizzare questa competenza nell’agire quotidiano al fine anche di fornire evidenze utili a supportare decisioni “informate” sul piano delle politiche della formazione.

Una manifestazione di primo livello attiene al rapporto che stabilisce con le ricerche disponibili in letteratura le quali, se accostate in modo critico, possono realmente costituire fonti preziose per ricavare indicazioni utili a migliorare la qualità del proprio intervento; in tale situazione, l’insegnante non agisce da consumatore passivo piuttosto mobilizza la sua competenza di ricerca esercitando una funzione di mediazione. Gli esiti degli studi scientifici infatti non possono essere immediatamente tradotti in ricette pronte all’uso (Hadji, Baillé, 1998) ma abbisognano di essere letti, interpretati e contestualizzati la qual cosa presuppone il possesso di conoscenze e di strumenti metodologici; per tali ragioni, Perrenoud (1994, 2001) richiama l’attenzione sulla necessità di alfabetizzare dal punto di vista metodologico tutti gli insegnanti in formazione iniziale poiché conoscere il linguaggio scientifico, la logica e gli strumenti della ricerca è indispensabile per poter comprendere e valutare la qualità delle ricerche. In assenza di tali elementi, vi è il rischio di assumere una posizione di rifiuto a causa di un pregiudizio circa la loro inutilità oppure di accettarle in maniera acritica prescindendo da una attenta analisi delle stesse. Una recente indagine (Lysenko, Abrami, Bernard, Dagenais, Janosz, 2014) finalizzata ad indagare i predittori di uso delle ricerche empiriche nelle pratiche didattiche, oltre a confermare il basso livello d’impiego, ha messo in luce tra i fattori facilitanti la competenza maturata nell’ambito della ricerca declinandola in termini di capacità di leggere, comprendere e valutare la qualità dei prodotti (Bonazza, Pasetti, Severoni, 2012).

Ad un secondo livello, l’insegnante può esercitare la competenza di ricerca prendendo parte attivamente a progetti di natura collaborativa (Desgagné, Bednarz, 2005; Wedell, 2009; Avgitidou, 2010; Bruce, Flynn, Stagg-Peterson, 2011) assumendo il ruolo di co-ricercatore; tali filoni di ricerca negli ultimi decenni si sono molto sviluppati anche per corrispondere all’esigenza, sempre più avvertita, di rafforzare il legame fra questioni conoscitive e ricadute educative auspicando un’alleanza e un lavoro congiunto fra ricercatori e practitioners. La partecipazione a progetti di ricerca collaborativa per un verso implica il possesso di conoscenze di natura metodologica, per l’altro contribuisce a rafforzare la competenza di ricerca poiché si configura come una modalità formativa nella quale gli insegnanti hanno la possibilità di sperimentarsi con la guida di un esperto che stabilisce con loro una relazione simmetrica fondata sulla condivisione e sulla compartecipazione (Medwell, Wray, 2014; Magnoler, 2012).

Ad un terzo livello, la competenza di ricerca può essere esercitata in autonomia progettando e implementando azioni di ricerca nel proprio contesto professionale (Albarello, 2004; Vergara Luján, Hernández Gaviria, Cárdenas Ramos, 2009; Gewirtz, Shapiro, Maguire, Mahony, Cribb, 2009); l’insegnante diviene a tutti gli effetti un ricercatore e pertanto gli sono richieste non solo conoscenze e strumenti metodologici di base ma anche un solido background rispetto agli approcci, ai dispositivi, alle tecniche.

Per meglio descrivere l’esercizio della competenza di ricerca nella pratica docente occorre altresì prendere in considerazione una seconda variabile riferita ai diversi luoghi nei quali l’insegnante agisce. Sul piano micro, l’ambito di riferimento è la classe ove, nella maggioranza dei casi, trascorre gran parte del tempo lavorativo. L’insegnante può utilizzare gli strumenti della ricerca per conoscere in modo approfondito e sistematico i suoi alunni mettendo in campo strategie di tipo osservativo mirate a rilevare evidenze empiriche senza alterare i processi. Ha altresì la possibilità di finalizzare i dati rilevati in chiave valutativa formulando giudizi circa le condizioni di partenza oppure il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Può inoltre avviare azioni di ricerca per individuare e testare la qualità delle strategie didattiche al fine di confermarle e/o di introdurre correttivi; in questa situazione, vi è l’intervento intenzionale sui processi e la volontà di verificare sul campo l’eventuale ricaduta migliorativa.

Un secondo ambito di riferimento più allargato è rappresentato dall’ambiente scuola nel quale l’insegnante può esercitare le sue competenze di ricerca ad un livello meso organizzando dispositivi di indagine, confrontando dati e risultati che coinvolgono la comunità scolastica nel suo insieme. L’attività conoscitiva, valutativa o di intervento assume come oggetto di riferimento il funzionamento dell’istituto scolastico al fine di promuovere innovazione e crescita organizzativa.

Un terzo ambito contiguo è rappresentato dal territorio ove la scuola è sempre più chiamata a stabilire relazioni con gli stakeholders per attivare sinergie, collaborazioni, partenariati. Gli strumenti e i dispositivi di ricerca prevedono a questo livello macro la progettazione e implementazione partecipata di azioni conoscitive, valutative o di intervento come espressione della comunità educante che insiste sul medesimo territorio.

Alla luce delle considerazioni sviluppate, risalta come la competenza di ricerca concorra a qualificare l’azione professionale dell’insegnante in modi differenziati; sul piano generale, emerge tuttavia un elemento trasversale ai livelli e ai luoghi messi in evidenza: tale competenza è mobilizzata non solo in dispositivi di indagine che si affiancano alla pratica didattica rimanendone separati ma permea in maniera diffusa l’agire del docente supportando dall’interno il suo lavoro ordinario (Nuzzaci, 2012). In particolare, emergono quattro processi che richiedono la mobilizzazione di abilità e capacità strettamente interconnesse con la competenza di ricerca: osservare, progettare, documentare e valutare.

Osservazione. Rappresenta una risorsa preziosa per acquisire elementi informativi sugli alunni, sul contesto scolastico, sull’ambiente territoriale (Gattico, Mantovani, 1998; Postic, De Ketele, 1993) dai quali muovere per progettare il proprio intervento; questa attività conoscitiva non può perciò essere guidata dal senso comune, fondarsi su percezioni soggettive o su dati parziali ma è fondamentale che poggi su procedure osservative rigorose improntate alla trasparenza dei protocolli e al confronto intersoggettivo (Bondioli, 2007; D’Orico, Cassibba, 2001; Trinchero, 2002).

Progettazione. Il docente non può non progettare pena il venir meno del senso della sua azione poiché l’educazione si fonda sulla progettualità (Pellerey, 1999); la sua attività progettuale assume caratteristiche specifiche in funzione del luogo (micro, meso e macro), dell’oggetto di riferimento e dei soggetti coinvolti ma implica sempre una proiezione verso il futuro a partire dall’esperienza e dal significato che le si attribuisce nel presente (Infantino, 2002). Una concezione non riduttiva della progettazione la interpreta come tensione euristica che muove da una conoscenza approfondita della realtà per poter individuare pratiche di intervento rispondenti alle caratteristiche degli ambienti e delle persone; per progettare è pertanto indispensabile disporre di competenze metodologiche che si traducono nelle capacità di definire finalità e obiettivi, costruire piani di azione coerenti, finalizzare le risorse disponibili, dotarsi di strumenti rigorosi per valutare la qualità del processo e del prodotto (Parmigiani, 2014, 2016; Traverso, 2016). In tal senso, risalta la stretta contiguità fra il modo di procedere tipico della ricerca e l’assunzione della progettazione come stile di lavoro che informa l’agire del docente.

Documentazione. Molto spesso in ambito scolastico la documentazione è interpretata come adempimento formale; in realtà, essa rappresenta un processo strategico che permette sul fronte interno al docente di tracciare e rendere visibili i percorsi di lavoro attivati e agli alunni e alle famiglie di apprezzare i progressi compiuti; sul fronte esterno, rende l’esperienza comunicabile nel tempo e nello spazio e costituisce pertanto il presupposto per facilitare la trasferibilità di una buona pratica fuori dal suo contesto di origine (Giovannini, Marcuccio, 2012; Robasto, 2014) e per estendere il valore della conoscenza locale prodotta. Per guardarsi dal rischio di procedere ad una raccolta casuale di materiali e documenti occorre progettare in modo intenzionale, sistematico e mirato l’attività di documentazione la qual cosa richiede il possesso di abilità e capacità metodologiche strettamente legate alla competenza di ricerca.

Valutazione. Il compito valutativo, per sua natura, è complesso e attiva meccanismi non sempre facilmente governabili, a motivo anche del forte carico emotivo implicito sia quando si agisce la valutazione sia quando se ne è destinatari. Il docente può esercitare la sua funzione valutativa in modi diversi (Castoldi, 2012): a livello di classe progetta e implementa strategie per valutare gli apprendimenti (conoscenze, abilità, competenze) degli alunni, a livello di istituto partecipa ai processi (auto)valutativi dell’organizzazione, a livello di territorio valuta i progetti e le azioni attivate in rete. Di là dalla specificità di ciascun compito, la valutazione si configura come un processo costituito da azioni che vanno intenzionalmente progettate e realizzate secondo procedure rigorose per formulare un giudizio argomentato, contestualizzato e motivato sull’oggetto d’analisi al fine di guidare la presa di decisione (Moltalbetti, 2011). In tal senso, la qualità dei processi valutativi dipende anche dal possesso di competenze metodologiche.

Oltre a poter consultare ricerche su un determinato tema di interesse, partecipare a progetti collaborativi o avviare azioni autonome di ricerca nei tre luoghi posti in risalto (classe, scuola, territorio), l’insegnante mobilizza le competenze di ricerca quando agisce con metodo nella pratica ispirando la propria azione ai criteri di rigore, sistematicità e trasparenza tipici della logica scientifica (Felisatti, Clerici, 2009) attraverso l’impiego di strumenti per osservare, progettare, documentare e valutare la qualità dell’intervento. Così intesa la competenza di ricerca informa trasversalmente tutte le aree che definiscono il profilo dell’insegnante: disciplinare, educativa, pedagogica, didattica e organizzativa (Betti, Ciani, Lovece, Tartufoli, 2015).

 

Figura 1

Declinazioni della competenza di ricerca

 

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Concordiamo perciò con Felisatti e Mazzucco quando osservano che i “ferri della ricerca” (Felisatti, Mazzucco, 2013: 60) devono far parte della dotazione professionale di qualsiasi docente e ne va adeguatamente avviato lo sviluppo nella formazione iniziale e sostenuto il consolidamento in quella in servizio; nondimeno è ragionevole ipotizzare l’emergere di insegnanti esperti nel campo della ricerca che mettano la loro professionalità a servizio dell’innovazione e dello sviluppo della scuola (Coggi, Ricchiardi, 2005).

Alla pluralità di declinazioni operative della competenza di ricerca devono perciò corrispondere intenzionalità e obiettivi diversi in sede formativa:

 

  • possesso di competenze di metodo indispensabili per tutti gli insegnanti per dare robustezza al proprio agire nella pratica ordinaria;
  • possesso di conoscenze inerenti il processo di ricerca (tipologie, modelli, dispositivi metodologici, strumenti) indispensabili per tutti gli insegnanti per poter approcciarsi criticamente alle ricerche disponibili in letteratura e renderle risorse per la propria pratica;
  • possesso di competenze per progettare e implementare dispositivi di ricerca che potrebbero qualificare gli insegnanti intenzionati a ricoprire funzioni di middle management all’interno dei contesti scolastici.

3. La competenza di ricerca a servizio dell’apprendimento

Come osservato la competenza di ricerca può trovare nel contesto della pratica professionale docente declinazioni diverse che assumono caratteristiche specifiche in funzione dei luoghi in cui il docente opera e che richiedono conoscenze e abilità differenziate. In questa sede, appare opportuno focalizzare l’attenzione sul rapporto fra competenza di ricerca dell’insegnante e apprendimento degli alunni.

Tradizionalmente la ricerca è stata considerata come una strategia didattica alternativa ai metodi frontali sino a contrapporre una didattica fondata sulla ricerca ad una incentrata sulla trasmissione del sapere. Mosconi (1981) osserva che in realtà la scuola può soltanto scegliere come trasmettere il sapere e che cosa privilegiare nella sua trasmissione; a suo dire, la ricerca costituisce “una particolare tecnica di trasmissione del sapere che ha particolari pregi in ordine al mantenimento del livello di motivazione e di sollecitazione dell’attività intellettuale del soggetto che vive l’appassionante esperienza di scopritore, cioè dell’individuazione e della soluzione di problemi” (Mosconi 1981: 220). Altri studiosi mettono l’accento sulla possibilità di fare esperienza diretta di un processo di costruzione della conoscenza di natura collaborativa (Sharan, Sharan 1998). Altri ancora sottolineano il ruolo di attivazione che gli alunni sperimentano attraverso l’attività di investigazione diretta sulla realtà (Laudrillard, 2012).

Merita sottolineare che il ricorso episodico alla ricerca come strategia didattica, sebbene positivo per le ragioni già citate, può trovare collocazione all’interno di uno stile di insegnamento tradizionale rappresentando al più una parentesi gratificante per gli studenti. Assumere la ricerca come paradigma del proprio insegnamento significa invece non solo modificare alcune prassi didattiche ma reimpostare l’intero processo di insegnamento-apprendimento. Il docente che opera sostanziato da un atteggiamento euristico non offre soluzioni certe ma formula domande e propone risposte, consapevole della loro provvisorietà e limitatezza. Così come agisce da ricercatore impegnandosi nella investigazione di ciò che lo circonda, nell’individuazione di soluzioni ai quesiti formulati, nella valutazione critica di ogni azione allo stesso modo promuove tali processi nei suoi studenti avvalendosi di strategie didattiche differenziate (Beck, 2001). Vi è una stretta interconnessione fra l’attività di insegnamento improntata alla ricerca nella quale il docente è impegnato nella costruzione di contesti significativi e la promozione di un apprendimento attivo negli studenti poiché la prima sollecita processi di acquisizione e di rielaborazione del sapere. L’insegnante formato alla ricerca sa porsi delle buone domande movendo da una attività osservativa rigorosa del contesto nel quale agisce, sa costruire e progettare in modo coerente itinerari di apprendimento (progettazione), sa tenere traccia e rendere disponibile il processo e il prodotto delle esperienze proposte (documentazione) e sa valutarne la qualità a diversi livelli (valutazione) al fine di trarre indicazioni per il innescare il miglioramento (Calidoni, 2004). Tale modo di agire costituisce il presupposto per poter suscitare negli alunni un approccio creativo alla conoscenza nel quale si sentano non come destinatari passivi ma come attivi costruttori (Healey, 2008). L’insegnante si configura pertanto come risorsa per l’apprendimento supportando gli studenti nella propria personale ricerca di buone risposte, lasciando margini di autonomia e valorizzando non solo i prodotti ma anche i processi attivati.

In questa prospettiva, la competenza di ricerca rafforza le competenze disciplinari e diviene una leva per promuovere un apprendimento critico e personalizzato da parte degli alunni; per facilitare una rielaborazione personale del sapere infatti non è sufficiente conoscere le discipline ma occorre proporle in modo indagativo (Fabbri, Striano, Melacarne, 2008) seguendo la logica della ricerca, mettendo in evidenza come si è giunti ad un determinato risultato, senza disgiungere il prodotto (la conoscenza) dal processo della sua costruzione. Nota a tal proposito Nigris (2012) che un insegnante che continua ad interrogare i significati della sua disciplina dall’interno non solo fa ricerca ma è in ricerca.

Offrire agli studenti la possibilità di sperimentarsi in una attività concreta di ricerca, circa oggetti disciplinari differenziati, è soltanto una delle strategie a disposizione del docente; per integrare il piano dell’apprendimento di conoscenze con quello dell’acquisizione di competenze e della maturazione di un’attitudine critica di fronte al sapere (Baldacci, 2006) occorre che la logica della ricerca sorregga l’azione didattica nel suo complesso. Gli itinerari di apprendimento, qualunque strategia didattica si adotti (Parmigiani, 2014), si configurano come situazioni problematiche che gli alunni affrontano impiegando le risorse e gli strumenti messi a disposizione; così inteso l’insegnamento è strettamente connesso con un apprendimento euristico fondato sulla scoperta, frutto di curiosità iniziale, spesso stimolata dall’ambiente creato dall’insegnante che induce a porsi delle domande e a considerare quali di esse siano appropriate e come trovarne le risposte (Foster, 1972).

Tale apprendimento risulta essenziale per aiutare gli studenti a vivere nella società di oggi; come già osservava Morin (2000) per stare nel cambiamento è necessaria non una “testa ben piena” ma una “testa ben fatta” la quale poggia sull’attitudine a porre e trattare i problemi mediante un pensiero di tipo critico già individuato da Dewey come condizione necessaria per l’apprendimento. L’impostazione didattica scelta dall’insegnante funge da imprinting agli inizi della scolarizzazione per la grande permeabilità e ricettività dei bambini. Uno stile di insegnamento centrato sulle domande piuttosto che sulle risposte, sulla partecipazione attiva piuttosto che sull’ascolto passivo, sul costruire piuttosto che sul ricevere, sul fare insieme piuttosto che sul fare da soli, sulla creatività piuttosto che sull’esecuzione, sul processo oltreché sul prodotto dovrebbe perciò costituire il riferimento cui ispirarsi per gli insegnanti di ogni ordine e grado; anche se le declinazioni operative vanno necessariamente ponderate alla luce delle caratteristiche specifiche degli alunni nei diversi segmenti della scolarizzazione la ricerca si configura come orizzonte comune e motore dell’attività didattica (Felisatti, Clerici, 2009).

4. Verso lo sviluppo di una cultura della ricerca

A valle delle considerazioni sviluppate, la competenza di ricerca emerge non già come un insieme di saperi e abilità tecniche piuttosto come una postura professionale (inquiry as stance) (Cochran-Smith, Lytle, 2001, 2009) che qualifica dall’interno la pratica del docente.

In tale prospettiva, la ricerca costituisce una risorsa strategica lungo due dimensioni riconducibili a due poli, l’uno legato al piano pragmatico, l’altro a quello identitario disposti lungo un continuum. Sul polo pragmatico, la competenza di ricerca è mobilizzata sul piano del fare e si traduce in una serie di attività con le quali l’insegnante assicura fondatezza metodologica ai suoi processi di lavoro (osservazione, progettazione, documentazione, valutazione), investiga la sua pratica, partecipa attivamente a progetti collaborativi e adotta un’impostazione didattica volta a favorire l’attivazione degli studenti e l’appropriazione critica del sapere. Sul polo identitario, la competenza di ricerca informa il modo di essere dell’insegnante e si configura come una disposizione personale e professionale a considerare se stessi in costante trasformazione, a riflettere sulla propria esperienza facendola divenire una reale fonte formativa e a sentirsi protagonista del proprio sviluppo professionale (Montalbetti, 2005).

La professionalità docente non si esaurisce tuttavia nelle competenze ma è il risultato dell’interazione fra queste e il contesto (Burbank, Kauchak, 2003); proprio perché la competenza non è soltanto un saper fare piuttosto un saper agire (Boterf, 2004) essere un insegnante competente significa non solo saper mobilitare e combinare le proprie risorse personali e professionali ma anche trovare riconoscimento nel contesto sociale in cui si opera (Bru, Talbot, 2007); tale ragionamento va ovviamente riferito anche alla competenza di ricerca della quale ci siamo occupati in questo contributo.

Consegue l’urgenza non solo di assicurare percorsi formativi (iniziali e in servizio) coerenti con il profilo del docente ricercatore (Chianese, 2013) ma anche di costruire le condizioni, a livello di sistema scuola e di singolo istituto, affinché l’insegnante possa disporre di tempi, spazi e risorse adeguate per coltivare la ricerca. Il radicamento della cultura di ricerca nel contesto scolastico infatti non può essere lasciato all’iniziativa dei singoli ma va intenzionalmente perseguito sul piano sociale ed istituzionale (Ponte, 2009).

L’esigenza di riconoscere, accogliere, interpretare e governare il cambiamento qualifica l’azione del docente che è costantemente chiamato a “fare ed essere in ricerca”. Solo avvalorando tale dimensione gli insegnanti potranno farsi promotori di innovazione e corrispondere alle esigenze formative che la società pone; optare per una scuola che fa ricerca in modo permanente (Genovesi, 2002) significa credere in una scuola che non rifiuta il cambiamento, non lo insegue ma lo interpreta in maniera critica e lo assume come termine di riferimento per migliorare costantemente la qualità dell’offerta formativa. La ricerca si configura pertanto non solo come un modo di operare o di essere del singolo docente piuttosto come una modalità di concepire la scuola e l’insegnamento (Nuzzaci, 2012).

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