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NARRAZIONE EDUCATIVA IN CLASSE E QUALITÀ
DELLA PROFESSIONE DOCENTE

 

Educational Narrative in Class and the Quality
of the Teaching Profession




Emanuele Balduzzia

a Istituto Universitario Salesiano di Venezia.

Correspondencia: Istituto Universitario Salesiano di Venezia. Via dei Salesiani, 15. 30174 Mestre, (Venezia). Italia.

E-mail: e.balduzzi@iusve.it

 

Fechas de recepción y aceptación: 22 de septiembre de 2016, 20 de noviembre de 2016

Riassunto: Questo contributo considera la qualità della professione docente secondo una duplice lettura: la prima è strettamente vincolata ad alcuni parametri, chiaramente misurabili e certificabili, esternamente valutabili e riconosciuti. La seconda, in un’ottica complementare, è educativamente fondata e non completamente valutabile secondo standard di oggettività. Ed è proprio in questa seconda accezione che la narrazione del docente, nella lezione in classe, educativamente sostenuta, diviene fortemente indicativa per la qualità della docenza dal momento che apre nuovi orizzonti di senso per gli studenti: orizzonti che possono contribuire a quel processo di “conoscenza di sé” così importante in ogni percorso di crescita.

Parole chiave: professione docente, qualità dell’educazione, professori.

 

Abstract: This contribution regards the quality of the teaching profession according to a double reading: the first is strictly bound to certain parameters, clearly measurable and certifiable, externally evaluable and recognized. The second one, in a complementary sense, is educationally based and not fully appraised according to objectivity standards. And it is in this second sense that the teacher’s narration, in the classroom, educationally supported, becomes highly indicative of the quality of teaching since it opens new horizons for students: horizons that can contribute to that process of “self-knowledge” so important in every growth path.

Keywords: professorship, quality of education, teachers.

 

 

Oggigiorno, la qualità della scuola è un tema che ormai è entrato con forza non solo nel dibattito politico-istituzionale, ma anche in quello educativo-culturale, non esaurendosi, però, in quello che potremmo qualificare come il discorso specialistico riservato agli esperti del settore, a partire dal loro punto di osservazione privilegiato, politico, organizzativo, economico, sociologico, psicologico, pedagogico che sia, ma estendendosi sempre più verso quanto emerge anche dalla società civile: non è casuale che, molto spesso, sono proprio i genitori a parlare di “qualità della scuola” e a scegliere una “scuola di qualità” per i loro figli, a ricercare questa declinazione nelle pieghe del sito web dell’Istituto, oppure recandosi di persona per visitare la medesima struttura scolastica con i propri figli, durante gli open day proposti nel corso dell’anno. Quello che fino a non molto tempo fa era uno dei principi cardine nella scelta del percorso scolastico obbligatorio, vale a dire la strategicità geografica della scuola rispetto al luogo di residenza e la sua non difficile raggiungibilità offerta dal trasporto pubblico, oggi va a comporsi con nuove esigenze che sorgono dalle famiglie stesse, molto partecipi e motivate nella scelta da sostenere e consapevoli di quella che è l’offerta formativa della scuola, riscontrabile appunto nel Piano dell’offerta formativa (POF), e nel Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF): quest’ultimo redatto proprio alla luce del Rapporto di autovalutazione d’Istituto (RAV), vale a dire quello strumento interpretativo che consente di portare alla luce i punti di forza e le criticità di quella determinata Istituzione scolastica.

1. La qualità della scuola

In primis, anche considerando uno degli ambienti storico-culturali in cui la parola qualità è entrata con forza già da molto tempo, ossia il contesto anglosassone, ci accorgiamo che, per esempio, in Inghilterra e Galles la parola qualità non esisteva negli anni ‘70 (Day-Gu, 2012: 26): bisognerà infatti attendere la grande riforma del 1988, che introdusse un sistematico processo di valutazione delle singole scuole, affinché si potesse realizzare un sistema d’istruzione sempre più efficiente, proporzionato al conseguimento di particolari obiettivi, con linee di sviluppo e piani di miglioramento da progettare, supervisionare1 e conseguire.

Nel riflettere sulle politiche scolastiche da implementare, ci si è accorti dell’incidenza sempre più marcata dell’attività docente. In particolare si è compreso con forza il legame, per certi versi anche intuitivo, fra una proposta scolastica di qualità e il poter contare, a tal riguardo, proprio su docenti di qualità (Hargreaves-Shirley, 2012: 133). Non è infatti casuale che anche il concetto di leadership, inizialmente declinato nell’ambito della dirigenza, ha subito una virata molto forte in tale direzione, differenziandosi secondo molteplici costrutti concettuali esplicativi (Balduzzi, 2015a: 116-118). Qualità che, nell’attività docente, viene vincolata sempre di più ad alcuni fattori: 1) la necessità del cambiamento, seppur con tutte le difficoltà che esso comporta (Hargreaves-Earl-Ryan, 1998: 257-258); 2) una sempre maggiore professionalità e consapevolezza da parte del corpo docente, affinché siano proprio i docenti ad essere i primi promotori del cambiamento (Day, 2005: 30); 3) il necessario conseguimento per tutti gli alunni di un livello di apprendimento significativo (Domenici, 2011: 21).

Ciononostante, chiarificare cosa debba intendersi per qualità nella professione docente è operazione complessa. Infatti, viene da domandarsi se sia possibile poter misurare o certificare la qualità della professionalità docente, nel suo complesso, in base ad alcune specifiche competenze e capacità che il docente deve poter esibire e conseguire, per esempio, attraverso un percorso formativo pensato ad hoc. Oppure, se parte della qualità docente debba necessariamente legarsi ad una dimensione fortemente motivazionale ed appassionata (ossia frutto di passione per l’insegnamento), la quale, tuttavia, risulterebbe dipendente da una dimensione “vocazionale”, per sua natura sfuggente e delicata, difficilmente misurabile. Non è un caso che i molteplici percorsi formativi di aggiornamento per i docenti si propongono proprio di rafforzare la competenza professionale con proposte differenti a seconda dei singoli interessi personali, delle richieste dei Dipartimenti disciplinari, delle esigenze della scuola in cui si opera, nonché sensibilizzandosi verso quelle linee guida che lo stesso Ministero propone: aggiornamento che è divenuto obbligatorio per i docenti in base alle disposizioni attuative della Legge 107 del 13 luglio 2015 (che, per brevità, è quella che nel presente dibattito pubblico viene chiamata “Buona Scuola”). Ma non ne esiste nessuno che possa propriamente “far nascere” o “generare” la passione per l’insegnamento.

Da questo punto di vista, David Carr (2010: 63) sottolinea come l’insegnamento, pur nelle sue diverse declinazioni ermeneutiche (nodo cruciale che accennerò successivamente), non possa prescindere da alcune qualità umane personali e dall’incidenza delle relazioni interpersonali. Inoltre, anche Christopher Day (2006: 32) ricorda come nella professione docente siano indispensabili abilità e competenze, ma ribadisce come i fattori che incidono nell’insegnamento siano anche le qualità interne del maestro, l’impegno profondo, l’interesse per la crescita e lo sviluppo degli alunni, i valori che ritiene significativi.

Siamo così giunti ad un primo nodo cruciale, di non così immediata soluzione: ossia, pur concordando sull’interdipendenza fra la qualità dell’offerta formativa scolastica e la qualità della professione docente2 – legame che, è bene sottolinearlo, si proporziona anche alla necessità da parte del docente di riflettere e sviluppare la propria disponibilità ad apprendere (Sergiovanni, 2002: 227) –; pur sottolineando la necessità da parte del docente di proporre un insegnamento di qualità che possa consentire un elevato livello di apprendimento per tutti gli alunni, rimane da definire in che modo debba intendersi il significato della qualità della professione docente. E soprattutto: interviene nell’analisi e nella comprensione della qualità della docenza3 qualche preciso riferimento educativo?.

2. Identità professionale e significato dell’insegnamento

Per riuscire ad avvicinare il concetto di qualità della docenza penso sia utile riprendere, seppur molto sinteticamente, il concetto di identità professionale del docente. Quest’ultimo costrutto s’intreccia profondamente con il concetto di qualità della professione docente. Inoltre, ritengo importante questo passaggio perché, nel legare la qualità della docenza ad un asse portante piuttosto che un altro dell’identità docente, si esplicita una precisa scelta di campo, andando a promuovere alcuni aspetti e depotenziandone altri. Ad esempio, qualora si dovese ritenere che i valori che ispirano il docente nella sua attività d’insegnamento non siano così rilevanti per far emergere la qualità della professionalità docente – magari perché difficilmente traducibili in indicatori, oppure perché legati alle preferenze personali e quindi non valutabili nel merito –, si andrebbe ad effettuare subito una scelta d’analisi che esclude alcuni parametri – quelli etici ad esempio – e ne considera invece altre. Dall’altro lato, qualora si sottolineasse, nella definizione della qualità, il suo vincolo stringente ed esclusivo con specifici livelli di apprendimento, si andrebbe ad influenzare in maniera decisa anche la costruzione identitaria, sempre complessa ed in costante ridefinizione, del docente.

Circa l’identità professionale del docente, Christopher Day (2011: 50), considera tre fattori fondamentali: 1) le politiche socio-culturali, vale a dire le aspettative sugli insegnanti e sull’insegnamento, gli ideali educativi e gli scopi etici del docente, le influenze delle politiche scolastiche, la possibilità di far carriera; 2) le influenze dirette del luogo di lavoro e le relazioni sociali – ossia cosa avviene nel concreto di quella specifica realtà scolastica in cui opera –; ed infine 3) le influenze personali, la biografia personale, la percezione della propria efficacia.

Proprio in virtù di questo costrutto complesso e articolato, dovremmo interrogarci su quale ambito focalizzarci per poter far emergere alcuni indicatori, e da questi ricavare il livello qualitativo della professione docente. soltanto a titolo esemplificativo, recepire le indicazioni di aggiornamento proposte dal Dirigente scolastico deve poter pensarsi come ambito all’interno del quale ragionare sulla qualità della professione docente? Oppure deve maggiormente incidere, sempre nella valutazione della qualità, l’aggiornamento individualmente pensato perché più rispondente alle effettive esigenze di miglioramento del docente alla luce di quanto egli ritiene particolarmente significativo per la sua professione? Oppure dovrebbero incidere entrambi in egual misura? O magari non incidere per niente, per concentrarsi unicamente sui risultati che gli studenti e le studentesse4 ottengono in alcuni momenti di verifica standardizzati ed oggettivamente misurabili, estesi a livello nazionale (le nostre prove Invalsi per intendersi) e quindi identificare la qualità della docenza in proporzione a specifici livelli di apprendimento maturati?

Ritengo che per proporre una scelta al riguardo sia altrettanto importante esporre chiaramente in che modo debba essere inteso l’insegnamento. In questo caso David Carr (2005: 41) precisa che, in una prima analisi, si definisce attività di insegnamento “quel tentativo deliberato o intenzionale di produrre un apprendimento. Da questo si deduce che i parametri [per giudicare] la bontà dell’insegnamento sono direttamente relazionati – in termini causali o produttivi – con la produzione di un apprendimento efficace”. E ricorda come la parola insegnamento presenta tre significati: 1) insegnamento come pratica di insegnamento; 2) insegnamento come occupazione, ruolo/professione, vocazione; 3) insegnamento come episodio o attività di durata limitata (2005: 39).

Siamo così giunti al cuore del dibattito. La qualità si lega profondamente all’incidenza che l’attività docente riveste nel conseguimento di significativi livelli di apprendimento da parte degli studenti e che, proprio una docenza di qualità, consente di conseguire. In questo caso, proprio perché la valutazione della qualità della docenza si focalizza su alcuni parametri di rilevazione, ne ricaviamo una duplice conseguenza.

La prima è che lo stesso costrutto dell’identità professionale docente dovrà necessariamente definirsi in un confronto dialettico con questi parametri. Seguendo quest’ottica poc’anzi menzionata, si potrebbe convenire che, nella costruzione identitaria, la percezione della propria efficacia nel processo d’apprendimento degli studenti potrebbe andare ad incidere in misura decisiva (proprio a causa del fatto che il docente è stato in grado di far conseguire livelli elevati di apprendimento). Inoltre, qualora legassimo anche la possibilità di carriera e l’incentivo economico stipendiale in base a questi risultati, l’influenza risulterebbe probabilmente ancora più marcata. Questo non vuol essere un giudizio di condanna o di approvazione, quanto segnalare come la definizione di precisi standard qualitativi da conseguire incide profondamente nella vita di ogni docente: e, nello specifico, nella costruzione identitaria legata alla sua professionalità.

La seconda considerazione è che vincolare la qualità della docenza al livello di apprendimento degli alunni introduce, da un lato, un criterio di misurabilità ed oggettività importante, dall’altro, ribadisce l’incidenza che l’azione didattica riveste proprio nella relazione insegnamento-apprendimento. Ritengo importante questo legame anche per definire uno specifico orizzonte di senso verso cui il docente concentra gli sforzi nella ricerca di una docenza di qualità.

Tuttavia, una domanda mi pare ora importante: ossia, il significato complessivo dell’apprendimento che gli studenti devono poter conseguire si può completamente misurare in base a specifici parametri di valutazione? Perché, se da una parte, determinate procedure di rilevazione sono molto efficaci nel registrare alcune tipologie specifiche di apprendimento, in termini di conoscenze, competenze, capacità; dall’altro lato, mi chiedo, questa rilevazione, seppur così puntuale, esaurisce quello che è il valore dell’insegnamento e l’esito finale di ogni apprendimento a scuola? Come ricorda Giuseppe Mari (2014: 62) i criteri descrittivi nella definizione della qualità “non possono essere né i soli né i principali se si vuole salvaguardare il profilo pedagogico della ‘qualità’”.

Per sciogliere quest’ultimo nodo dialettico, ritengo che la qualità della professione docente sia da intendersi secondo una duplice modalità. 1) da una parte, debba con forza legarsi ai risultati di apprendimento degli alunni, standardizzabili e quindi evidenti, armonizzando sempre più (Baldacci, 2002: 29) “una elevata qualità del prodotto scolastico con una sostanziale uguaglianza degli esiti formativi”. Ma non solo. Infatti, oggigiorno la qualità della docenza s’inserisce sempre di più all’interno della rilevazione di tutti quei processi e di tutte quelle azioni che il docente compie per sviluppare il livello qualitativo dell’offerta formativa della scuola in cui opera. In questo caso, rientrano nella qualità della professione docente anche tutti quegli sforzi che si presentano a livello organizzativo: ad esempio, come Coordinatore di classe o di Dipartimento, come promotore di proposte di approfondimento pomeridiane per gli studenti, come referente di alcune Funzioni strumentali, come curatore di particolari progetti didattici e di percorsi di formazione ed aggiornamento professionale. Quanto appena velocemente indicato potrebbe rientrare in un criterio di valutazione oggettiva circa la qualità della professione docente, sempre più connotata dalla sua disponibilità verso l’implemento e la realizzazione del Piano dell’offerta formativa della scuola. Al riguardo, la certificazione della qualità potrebbe essere anche affidata al Dirigente scolastico ed al Comitato di valutazione d’Istituto: ad oggi, il bonus premiale docente previsto dalla Legge 107 si distribuisce, in parte, secondo questa logica (ed anche diverse scuole si sono collocate in questo solco interpretativo). In estrema sintesi: qualità della professione docente vincolata ad alcuni parametri, chiaramente definibili e certificabili, esternamente valutabili e riconosciuti.

Esiste, a mio avviso, anche un’altra importante dimensione della qualità docente che va a comporsi e quindi ad integrare quanto appena richiamato, e che 2) si presenta educativamente finalizzata. Questo non implica che la precedente definizione di qualità della professione docente non abbia alcun valore educativo. Tutt’altro. Nel conseguimento di un certo livello di apprendimento a scuola vi è anche potenzialmente una connotazione educativa importante, anche se la finalità per eccellenza è legata alla padronanza di alcuni contenuti, competenze e capacità. In questo secondo risvolto della qualità della docenza, invece, la giustificazione educativa è determinante proprio per comprendere ed esplicitare la sua più precipua finalità. In estrema sintesi, una dimensione qualitativa della professione docente, che risponde ad una logica di autovalutazione individuale, liberamente scelta – che il docente mette in atto in virtù di un processo metacognitivo, eticamente sostenuto, che lui stesso decide di intraprendere –, educativamente determinata.

Come ultima sottolineatura, mi pare importante ricordare che questi due aspetti della qualità si vanno ad integrare ed armonizzare, non a giustapporre. Non si deve seguire alcuna logica esclusiva: anzi, la rilevanza e l’applicabilità di questo approccio consistono proprio nel valorizzare le peculiarità che ogni aspetto della qualità reca con sé. Da questo punto di vista, non si tratta di effettuare alcuna scelta di merito, dal momento che l’intento è quello di arricchire il dibattitto in questione sulla qualità della professione docente, con un apporto che consenta di recuperare anche lo spessore educativo di cui l’azione di insegnamento si fa spesso testimone.

3. Valore educativo e significato della qualità nella professione docente

Come si intersecano la qualità della professione docente ed il risvolto educativo della stessa? Fra gli innumerevoli spunti di riflessione che si potrebbero avanzare, impensabili da proporre in uno spazio così limitato, uno mi pare però strategico ai fini del presente discorso: vale a dire, la possibilità da parte del docente di presentare orizzonti di senso significativi proprio dal punto di vista educativo. Tale possibilità va a rafforzare quanto già la scuola, e di conseguenza anche l’apprendimento, dovrebbe poter essere: un’occasione per la crescita e per lo sviluppo della personalità complessiva dell’alunno. Alunno che, proprio in un ambiente formale così pensato, dovrebbe poter rafforzare la sua umanità giungendo ad esercitare la libertà personale e la capacità di giudizio autonomo. Ma per giungere a questo processo maturativo occorrono anche docenti che siano profondamente consapevoli del valore educativo della loro azione: al riguardo, Luciana Bellatalla (2007: 44) definisce l’insegnante consapevole, proprio “l’insegnante che lega scuola ed educazione”.

Al tal proposito vengono in soccorso le sempre attuali parole di Giovanni Gentile (1934: 123-124): “Non c’è un sapere che insegni l’arte di fare scuola […]. Anche la scuola, come il tutto, è, in ogni momento in cui si consideri, un atto assoluto senza precedenti e senza conseguenti; un atto in cui tutto quello che abbiamo appreso è nulla rispetto a quello che dobbiamo ancora sapere. […]. La vita è creazione eterna”. Pur senza entrare nel merito delle questioni filosofiche e pedagogiche della riflessione gentiliana, anche molto complesse, un punto mi pare centrale: la costante novità e creatività, da non intendersi in senso meramente metodologico o contenutistico, che il docente sviluppa nella sua azione quotidiana fa sì che quanto faticosamente, ma anche orgogliosamente, ha compiuto sia in tutto e per tutto vita che si risveglia e si slega da tutte quelle forme di controllo rigoroso e meccanicistico che vorrebbero inquadrare, da un lato, la professionalità docente, dall’altro, gli esiti definitivi del processo di apprendimento. Un compito che quotidianamente consente al docente di proporsi educativamente decisivo proprio perché intenzionalmente vuole ricreare, con la sua azione, anche quell’orizzonte di senso per la vita, che diventa così testimonianza di una scelta che viene preferita rispetto alle altre, ossia che ha maggior valore: valore che si esprime proprio durante la lezione dando vita e significato alla relazione interpersonale5. In altre parole, nell’ora di lezione emerge la passione per la condivisione e la costruzione di quel sapere che, attraverso la parola, provoca il sorgere di un’esperienza di senso fra il docente e lo studente.

Seppur da un orizzonte filosofico completamente differente da quello gentiliano, è John Dewey (1951: 20, corsivo mio) ad avvertirci della centralità del docente e del suo apporto peculiare. Scrive infatti che

la realtà ultima della scienza dell’educazione non si trova nei libri, né nei laboratori sperimentali, né nelle aule scolastiche dove la si insegna, ma nelle menti di coloro che dirigono le attività educative. I risultati possono essere scientifici anche senza la loro presenza attiva negli atteggiamenti e nelle abitudini di osservazione, di giudizio e di predisposizione programmatica di coloro che sono impegnati nell’atto educativo. Ma in tal caso non sono scienza educativa, bensì psicologia, sociologia, statistica e via dicendo.

Ecco che allora la qualità della professione docente non si lega soltanto ai risultati scolastici conseguiti, ma si apre a tutte quelle dimensioni di significato e valore che, pur esulando da un quadro empiricamente valutabile nell’immediato – dopotutto un alunno può apprezzare anche quanto un docente aveva a cuore nelle sue lezioni in un secondo momento, riconoscendone così il valore solo tempo dopo –, si offre per la crescita della persona. E il docente che ha a cuore la crescita armonica e globale della persona si investe di una missione propriamente educativa. Quello stesso docente che, proprio in quell’ora di lezione così tanto significativa (Recalcati, 2014), ha la possibilità di aprire importanti mondi di senso che lo studente può scrutare e soffermarsi per comprendere meglio la realtà in cui vive ma anche se stesso.

Per rilanciare questo suo importante compito educativo, il docente può fare affidamento su di una capacità fondamentale: la capacità di narrare. Dopotutto, l’essere umano è tale proprio grazie alle storie (Gottschall, 2014).

5. Il contributo educativo della narrazione a scuola

La narrazione, ossia l’azione quotidiana che tutti noi compiamo nel momento in cui raccontiamo una storia a qualcuno, costituisce, in ogni percorso scolastico, seppur con sfumature ed intensità differenti, il volano di quella che è l’azione didattica quotidiana. Azione didattica che, in questo caso, identifico nella “classica” ora di lezione, in cui vengono presentati determinati contenuti agli studenti. È centrale il fatto che, negli ultimi anni, si assiste ad una grande trasformazione della didattica a scuola, grazie all’introduzione delle nuove tecnologie, con il loro grande potenziale educativo nel processo di apprendimento (Balduzzi, 2015b: 159). Tuttavia, ad oggi, la lezione frontale, partendo dalla scuola dell’infanzia per giungere in Università, viene ampiamente utilizzata: perciò non sarà per nulla così marginale soffermarsi un attimo su quanto possa essere incisiva per la crescita.

Una prima sottolineatura è legata al fatto che la valenza educativa della narrazione non coincide soltanto con la chiarezza espositiva (seppur fondamentale): dopotutto, un docente potrebbe essere perfettamente chiaro su contenuti di scarso valore educativo. Non identifica nemmeno una presunta capacità eclettica o persuasiva che fa della “teatralità” la sua qualità più decisiva per generare stupore/sgomento fra gli studenti: come ricorda Demetrio (2012: 16) il narratore educatore non è “né un istrione, né un imbonitore”. Non si associa nemmeno ad alcune discipline specifiche (anche se alcune certamente si prestano più delle altre): ad esempio una spiegazione nella risoluzione di un esercizio di matematica particolarmente rigorosa ed attenta, che riprende alcune volte lo stesso passaggio in modo tale che tutti possano comprendere, che si preoccupa di raccordarsi al livello di apprendimento cui la classe è giunta e che, intenzionalmente, viene curata affinché gli studenti possano poi essere preparati nella loro prosecuzione degli studi, o riescano a scoprire la loro passione per quella forma di sapere, presenta sicuramente un valore educativo importante. Al riguardo, rileggiamo le belle parole gentiliane (1935: 29).

O maestri, vegliamo sempre sopra di noi: che non giunga mai il giorno della noia, quando si finisce col credere che non ci sia se non da ripetere sempre quella medesima storia, tra le solite pareti, a quelle solite panche, a quelle solite facce stanche e distratte, tutte eguali! Noi saremo educatori, ricordatevelo, finché vedremo ogni istante dell’opera nostra come un istante nuovo, e la nostra educazione, perciò, sempre come un problema, e ci domanderemo: – Ecco qui il problema mio; com’ho da risolverlo? –

La narrazione diventa educativamente rilevante quando comunica un orizzonte di senso che merita, ad avviso del docente, di essere presentato agli studenti per la sua rilevanza educativa nella crescita: un racconto in cui lo stesso docente ha preferito scegliere alcuni contenuti piuttosto che altri dato che li ritiene maggiormente significativi. Questo non vuol certo dire confinare ogni racconto nella totale arbitrarietà della scelta personale, tutt’altro. Infatti, il docente prima di presentare alla classe un certo contenuto deve aver riflettuto profondamente sul valore di quel racconto, quindi deve aver chiarificato a se stesso il perché della sua scelta, e soprattutto, saper motivare il perché anche agli alunni e a tutti coloro che eventualmente se ne interesseranno. È verissimo che molti contenuti da presentare sono, molto spesso, “percorsi obbligati” (anche se, bisogna dire, oggi la valutazione e la didattica sono finalizzate all’acquisizione di particolari competenze). Ciononostante, anche nella modalità di presentazione, 1) è possibile sottolineare alcune sfaccettature piuttosto che altre di quel contenuto (strategicità della scelta personale); 2) utilizzare una certa modalità narrativa piuttosto che un’altra; 3) richiamare più volte il valore di quanto detto per la crescita oppure non accennarlo nemmeno; 4) testimoniare la passione per quel contenuto d’apprendimento; 5) raccordare il contenuto proposto a quanto gli studenti stanno vivendo.

Come si può evincere, tutte queste azioni sono fondamentali per gettare luce sul valore educativo della narrazione, anche se la motivazione verso questa peculiare disponibilità deve sorgere proprio dal docente stesso. Ed è anche per questa ragione che una valutazione di quest’azione intenzionale condotta da una ente/persona esterno/a andrebbe in particolare difficoltà nella rilevazione.

Ora viene da chiedersi: in che senso questa narrazione diventa educativamente connotata? Fra le molteplici considerazioni che si potrebbero muovere, tre mi paiono strategiche (ed in parte sono state già accennate). Le indicherò molto brevemente.

La prima si lega al fatto che la passione nel raccontare particolari contenuti non è in se stessa indifferente: indica sempre una precisa scelta etica che il docente ha compiuto e che lo rende credibile proprio perché, nel corso della vita, esiste qualcosa per cui spendersi ed impegnarsi, per cui lottare e faticare, e che deve essere difeso contro ogni deriva burocratizzante o impersonale della professione docente.

La seconda sottolinea che, nel raccontare alcune cose, il docente ha anche la possibilità di far intravedere orizzonti di senso decisivi per la crescita degli alunni: orizzonti che diventeranno poi strategici per il futuro degli studenti. Per esplicitare ancora meglio quanto detto, porterò un esempio. Immaginiamo quando il docente, durante un’ora di supplenza, (attività che molto spesso può accompagnare il lavoro quotidiano di molti “docenti di potenziamento”) decide di narrare una storia particolare. In quel momento, quando il docente decide di raccontare alcune cose che per lui hanno particolare valore, sa perfettamente che non potrà valutare quanto fatto, ma sa anche che quello che dice potrebbe costituire per la crescita degli studenti della classe un momento potenzialmente fecondo, seppur difficilmente parametrizzabile o certificabile secondo determinati standard rilevativi.

La terza si spiega in ragione della sua cura educativa nella sua esposizione: la narrazione educativa non è mai offensiva verso gli studenti; non si sofferma a rimarcare in forma discriminatoria i livelli d’apprendimento conseguiti che, ovviamente, sono stratificati; non incita alla prevaricazione e alla competizione esasperata. È una narrazione che potenzialmente si apre a tutti perché ha a cuore il bene di tutti: è una narrazione che si dona per la crescita.

Ora, per concludere, bisogna effettuare un’ultima breve precisazione. Vale a dire, esplicitare il legame fra narrazione educativa e qualità della docenza.

6. Perché la narrazione educativa è espressione di qualità della docenza?

Ritengo che la narrazione compiuta dal docente, educativamente concepita, presenti un forte rilievo qualitativo circa la qualità della docenza stessa per una specifica ragione: perché favorisce la qualità dell’apprendimento degli studenti.

Infatti, l’apprendimento non è soltanto padronanza di particolari conoscenze, competenze e capacità (seppur imprescindibili), ma è anche scoperta di sé e del proprio mondo interiore, delle proprie peculiarità antropologiche, del proprio modo di essere: in breve, in ogni percorso scolastico si dovrebbe anche poter palesare quell’opportunità, ma anche dovere, di “conoscere se stessi”: monito incessante che fin dalla grecità si è innervato con forza nel cuore della cultura occidentale. Allora, ecco che una narrazione educativamente centrata può far emergere la qualità della docenza dal momento che consente l’apertura di fecondi mondi di senso, suscitando domande circa il valore degli accadimenti, favorendo il sorgere del pensiero critico e la comprensione del proprio particolare modo di intendere la realtà.

Molto spesso questa “scoperta” antropologica del proprio modo di essere non avviene immediatamente. Non è nemmeno esprimibile in una ponderata valutazione formativa o sommativa. Non può culminare in una serie di competenze o capacità specifiche, come può anche faticare molto nella sua emersione dal momento che non vi è alcun automatismo fra narrazione educativa e scoperta del sé (anche se vi è una forte interdipendenza). Ciononostante, costituisce l’impresa educativa per eccellenza nella vita.

Sembra allora paradossale che un’azione didattica, in un percorso di studi formale, intenzionalmente pensata per produrre un determinato effetto, ossia la conoscenza di sé, non abbia alcuna garanzia di successo (mentre nel controllo valutativo delle conoscenze questo è molto più padroneggiabile), e, al contempo, possa essere considerata di qualità. Eppure, se considerata in un’ottica differente, la qualità della docenza legata alla narrazione è tale per quanto può suscitare, far germogliare, dischiudere – ed ecco anche perché alcuni docenti vengono ritenuti di qualità nel loro insegnamento dopo alcuni anni, anche se nell’immediato il giudizio complessivo dello studente non era forse così lusinghiero –. Ne discende una duplice precisazione: 1) la qualità della docenza è tale in presenza di una determinata intenzionalità, non si accompagna soltanto a determinati esiti: motivo anche per cui la forte carica motivazionale, intrinsecamente sorgiva, diviene così imprescindibile; e 2) non si preoccupa di quello “spazio di misurabilità”, necessario per ogni processo certificativo, come non si cura di quanto immediatamente può legare a sé o suscitare, dal momento che la sua vera natura si coniuga nell’apertura e nella speranza verso il futuro: si proietta nel medio e lungo periodo (ecco anche perché diventerebbe complessa una sua stringente ed oggettiva valutazione esterna).

Per concludere, mi piace riprendere quello che Mounier (200412: 154), in uno splendido passaggio, ci ricorda: “Per definizione, una persona si suscita con un appello, e non si fabbrica con l’addestramento”. Ma anche l’appello più sincero e genuino, più profondo e testimoniale, può anche non essere ascoltato, accolto. Questo non toglie che sia stato un appello di alta qualità educativa.

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1 A tal riguardo la supervisione introdotta nelle scuole, nel contesto statunitense ad esempio, è finalizzata proprio ad incentivare il rinnovamento e la qualità dell’apprendimento, passando, nella gestione della scuola, da un concezione meramente burocratica ad una organica (Sergiovanni - Starratt, 2003: 391-398).

2 Anche se, come ci ricorda Mario Castoldi (2005, 11) “Ciò che fatica a entrare nella scuola è una cultura della qualità in gradi di andare oltre l’impegno individuale, di connotare l’organizzazione scolastica nel suo insieme. Di divenire una cifra identificativa dell’esperienza scolastica”.

3 Preciso fin da ora che, in questo caso, ed anche nelle pagine che seguiranno, utilizzerò le espressioni qualità della professione docente e qualità della docenza in forma interscambiabile, dal momento che, in entrambe le espressioni, si farà riferimento all’attività di insegnamento nella sua complessità e globalità, non soltanto soffermandosi sulla sola perizia metodologica, più o meno efficace, che ogni docente mette in atto durante la sua attività di insegnamento in classe.

4 D’ora in poi, con studenti sarà implicitamente considerato l’intero gruppo classe.

5 In questo punto, tuttavia, si concentrano molte critiche verso la riflessione gentiliana – partendo proprio dalla posizione del suo allievo Casotti (1943: 180 ss)–, in particolar modo quando il filosofo siciliano sviluppa la sua proposta di “unità di maestro e scolaro”, cancellando singolarità personale e distanza interpersonale. Scrive (1934: 127): “Nell’atto reale della educazione […] quella base materiale, su cui si appoggia la concezione dualistica, vien meno”.